Copertina 10

Info

Anno di uscita:2006
Durata:77 min.
Etichetta:Sony
Distribuzione:Sony

Tracklist

  1. VICARIOUS
  2. JAMBI
  3. WINGS FOR MARIE ( PT.1 )
  4. 10.000 DAYS ( WINGS PT.2 )
  5. THE POT
  6. LIPAN CONJURING
  7. LOST KEYS ( BLAME HOFMANN )
  8. ROSETTA STONED
  9. INTENSION
  10. RIGHT IN TWO
  11. VIGINTI TREES

Line up

  • Maynard James Keenan: vocals
  • Adam Jones: guitars
  • Justin Chancellor: bass
  • Danny Carrey: drums, percussions

Voto medio utenti

" Undertow " nel 1993, " Ænima " nel 1996, " Lateralus " nel 2001 ed ora " 10.000 Days ". Quattro dischi in tredici anni, ossia una cadenza di uscite consentita solo ai più grandi, a quelle bands che si possono permettere il lusso ed il privilegio di comportarsi come meglio credono, senza svilire la propria musica, sacrificandola sul lercio altare del dio denaro. Maynard James Keenan alla voce, Adam Jones alle chitarre, Danny Carrey alla batteria e Justin Chancellor al basso: i quattro eroi sono tornati, e con essi la forza, la sensibilità, la classe che sempre li ha contraddistinti. L'attesa per questo nuovo lavoro ha reso elettrici gli ultimi sei mesi, cioè da quando i primi rumors hanno incominciato a serpeggiare in rete. Dapprima un titolo alla Tool, " Aldaraia " ( parola di origini arabe, significante conoscenza, percezione ), poi una tracklist fasulla. Infine le nubi si sono diradate, lasciando il campo al vero titolo, alla vera tracklist ed al supremo lavoro grafico di Alex Grey ( www.alexgrey.com/ ), un artista visionario, unico, che con questa collaborazione raggiunge probabilmente il suo apice artistico. E' iniziato un vero e proprio countdown per l'uscita di questo disco, anche se alcuni furbacchioni già da giorni si godevano, grazie ai mezzi tecnologici che tutti conosciamo, l'operato di Keenan e soci. Quindi i commenti si sono già sprecati, così come le polemiche, curioso fenomeno di costume che infesta sempre il lavoro dei più grandi. Il 28 maggio è appena passato, il disco ha ufficialmente invaso i negozi. Ed ora giace nel mio stereo, pronto per essere analizzato, sviscerato in ogni suo pertugio, anche se qualsiasi recensore parte sconfitto di fronte alla musica dei Tool. Musica difficilmente etichettabile, nell'accezione più ampia ( e corretta direi ) del termine progressive, i Tool ci stanno dentro eccome. Io comunque preferisco definirli una band che suona Art Rock, definizione un pò kitch se vogliamo, ma probabilmente l'unica in grado realmente di svelare la natura della band Losangelina. Dopo aver assorbito pienamente il precedente lavoro, quel " Lateralus " che ha innalzato il nome della band nel gotha musicale mondiale, avvicinarsi a questo nuovo disco è fonte di emozioni in forte contrasto tra di loro. Ansia, per un possibile passo falso ( cosa che a conti fatti non è avvenuta ) e gioia a prescindere ( perché siamo carne e sangue, e l'enfasi è importante ). Io ho cercato di approcciarmi nella maniera più distaccata possibile e credo di esserci riuscito. " Vicarious " apre le danze, il ghiaccio è rotto, ora si inizia a fare le cose seriamente. L'opener è riconducibile al precedente disco, assumendo le sembianze dell'esplosiva " The Grudge ". Le diversità, emerse solo dopo svariati ascolti, sono riscontrabili in alcune soluzioni scelte da Maynard, il quale modula la voce su registri diversi dal suo stile " classico ", e dalle chitarre di un Adam Jones impegnato più a suggerire che a declamare ad alta voce. Una sorta di " The Grudge " versione light, se mi passate il termine, che comunque colpisce da subito nel segno. La mascella comincia a vacillare da subito, con la seguente " Jambi ", canzone che risulta essere devastante per i miei neuroni, in quanto incarna alla perfezione quello che desidero in una composizione ( il termine canzone è alquanto riduttivo quando si tratta dei Tool ). Ossia un'ampia, quasi illimitata, gamma di colori, uno spettro emotivo che pare non conoscere sosta, lasciandomi per terra, provato ma soddisfatto. Un Keenan ammiccante, con vocals ficcanti e seducenti mentre un Adam Jones deturpa le mie ultime certezze con melodie acide e sognati, sospinte con vigore dal basso imponente di Chancellor. E così, tra eiaculazioni oculari e piagnistei fallici, gli oltre sette minuti di durata passano in un lampo. " Wings For Marie ( pt. 1 ) " e " 10.000 Days ( Wings pt. 2 ) " sono da considerarsi come una piccola suite, con i suoi 18 minuti complessivi; una sorta di disco all'interno del disco vero e proprio, una matrioska musicale talmente pregna di sorprese e di particolari che mi lascia stremato. I ritmi si fanno placidi, almeno inizialmente, guidati con mano sicura da un Jones mai domo nel regalare visioni oniriche con il suo chitarrismo. Ad accompagnarlo c'è il cantore Keenan, con il suo salmeggiare che dona tranquillità, tenendo a bada le rare incursioni, impetuose come un l'incedere di un ubriaco, del solito immenso Carrey. Si ha la netta sensazione, durante questi minuti, che qualcosa debba esplodere, invece nulla accade, il tutto si percepisce, si sfiora con mano, ma non si concretizza mai, lasciandoci in una condizione emotiva alquanto tremolante. Un enorme punto interrogativo compare sulla mia fronte durante l'incipit di " The Pot ", durante il quale un Keenan stridulo, quasi Farinelliano, intona un canto inedito, per quello che ha conti fatti risulta essere l'episodio più curioso dell'intero disco. I momenti più classicamente riconducibile ai loro trademark si hanno nei break esplosivi di Chancellor e Carrey e nelle fughe solistiche di Jones. I toni si fanno quasi hard rockeggianti, con un tiro sostenuto e coinvolgente: sicuramente uno dei brani più catchy dell'intera produzione Tooliana. " Lipan Conjuring " spezza la tensione, essendo un piccolo interludio con vocalizzi che richiamano i canti dei pellirossa, mentre " Lost Keys ( Blame Hofmann ) " è sostanzialmente una sound escape di Jones, sempre a suo agio nel passeggiare tra i meandri della nostra psiche. Queste due tracce sono una sorta di intervallo, necessario per ricaricarsi dopo le prime cinque composizioni. Ma soprattutto perché irrompe " Rosetta Stoned ", brano epico, mastodontico, multiforme. Oltre undici minuti di lezione di arte da parte dei Tool: mettetevi comodi e seguite i dettami dei Maestri. " Rosetta Stoned " è il vaso di Pandora della band di Los Angeles, scoperchiare il tutto è a vostro rischio e pericolo; dentro c'è il Tutto ed il Nulla, il confine è labile, sottile come una lama di rasoio, una spina dorsale in procinto di spezzarsi in milioni di schegge. Il sound s'incattivisce, Carrey e Chancellor mostrano i muscoli, spezzandoci i denti con colpi precisi e letali. Non basta il lavoro di ricucitura da parta di Jones, le ferite rimangono aperte e su queste la lingua di Keenan disegna strani simboli con la sua saliva lenitrice. Dopo tutto questo marasma, ecco arrivare i soccorsi sottoforma di una " Intension ", unica scialuppa di salvataggio in mezzo ad un mare nero come la pece e rabbioso come il demonio. Altri sette minuti che scorrono via come se nulla fosse, e questo non per mediocrità del songwriting ( onestamente un termine come mediocrità è agli antipodi rispetto ai Tool ) ma grazie ad una delicatezza ed una classe sopraffina. Percussioni tribali e voci soffuse ci offrono il tempo per riprenderci, per organizzare al meglio le nostre forze. Purtroppo, o per fortuna ( ricordate? il confine è labile... ) le nubi si addensano in strane forme, tutte quelle che ci accompagnano da sempre. Paure, sogni, speranze, vittorie e sconfitte. Bene, tutto questo, ma anche oltre e di più, è " Right In Two ". Stilisticamente è un classico brano alla Tool, con tutte le sue peculiarità messe in bella evidenza: la differenza sostanziale, e vincente, è nelle cura degli arrangiamenti, nel cantato di Maynard e nel finale dirompente, con un Chancellor a dominare ampiamente la scena. " Viginti Trees " è un outro rumoristica, piena di effetti, un filler che comunque ha il suo perché dopo 70 minuti di musica. Una perniciosa uscita di scena, ultimo sberleffo da parte di una band grandiosa. Una band che dimostra ancora una volta l'amore per i King Crimson, particolare mai nascosto e mai rifiutato. Un band che risulta essere avanti rispetto alla quasi totalità degli acts in circolazione. Innovatrice, nel senso che riforma e muta il discorso iniziato da Fripp, aggiungendo ad esso il proprio estro. Keenan, Carrey, Jones e Chancellor. Artisti di livello assoluto che non si perdono in inutili masturbazioni sugli strumenti, dimostrando comunque una tecnica mostruosa, perfettamente bilanciata con un feeling che ben pochi altri musicisti possono vantare. In definitiva ci troviamo di fronte all'ennesimo capolavoro della band, probabilmente il disco più " facile " che abbiano mai composto. Facilità che non fa rima con commerciabilità o mancanza di idee, tutt'altro. Ma è evidente come " 10.000 Days " sia un lavoro meno ombroso rispetto alle precedenti releases. A questo aggiungeteci una produzione cristallina, che rende il massimo con il volume a palla, ed un packaging sontuoso ( poveracci coloro i quali si limiteranno a scaricare il disco... ). Ora scusatemi ma torno a deliziarmi.
Recensione a cura di Andrea 'ELASTIKO' Pizzini

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 12 feb 2016 alle 10:22

Grande recensione da bave alla bocca per un disco che è un'esperienza totale. Così come i precedenti. A quando una recensione di Lateralus?

Inserito il 17 apr 2008 alle 14:26

Fantastico!!!!! Non riesco a trovare altre parole o sinonimo di "fantastico" per definire un simile capolavoro. Vi confesso una cosa: un amico mi ha passato il cd in versione mp3 (probabilmente scaricato da internet) ..appena l'ho ascoltato non ho esitato un attimo a comprare il cd originale.. e sarà così anche per i passati e futuri capolavori dei Tool!!!

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