Copertina 8

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2005
Durata:54 min.
Etichetta:Scarey

Tracklist

  1. THE BRUTALITY
  2. GUNS, GERMS, STEEL
  3. WINDS OF DEATH
  4. COCAINE YEARS, COCAINE TEARS
  5. THE MAJESTY
  6. FLEE
  7. MURDER RED
  8. WARRIOR FUGUE
  9. NIGHT WRAITH
  10. SEA OF RAPE PT.I (CRIMSON DAWN)
  11. SEA OF RAPE PT:II (FOOL’S DANCE)
  12. THE ETERNITY

Line up

  • Mark Hoffman: vocals, guitar
  • Nate Perry: guitar, backing vocals
  • Darren Amaya: bass, backing vocals
  • Greg Spalding: drums

Voto medio utenti

Dopo aver assistito al recupero ed alla rigenerazione del rock anni ’70 in tutte le salse possibili, era pressochè scontato che prima o poi si prendesse in considerazione il periodo iniziale degli ’80. In effetti si è trattato di un momento fondamentale per la musica, perché ha visto il verificarsi dell’esplosione a livello planetario di un fenomeno nato e velocemente cresciuto sul finire dei seventies: l’heavy metal.
Con questa definizione mi riferisco a ciò che oggi è considerata la versione originale del genere, quella pura ed incontaminata, lo stile old-school di formazioni divenute poi veri monumenti leggendari quali Iron Maiden, Judas Priest, Blue Oyster Cult, Motorhead, ecc, che al di là delle sottigliezze che le potevano differenziare erano allora unite nello spirito e nell’entusiasmo, nella consapevolezza di star contribuendo a qualcosa di unico ed irripetibile.
In questo quadro storico cosa c’entrano i Bible of the Devil? E’ una poco nota band di Chicago, attiva soltanto dal 1999, che fino all’incontro con la nostra Scarey Records aveva pubblicato qualche lavoro ormai introvabile per minuscole etichette e bazzicato i piccoli locali degli States per suonare con gente del giro underground tipo Speedealer, Camarosmith, Zeke, Bongzilla, High on Fire, ecc. Tutt’altra cosa rispetto ai giganti nominati prima.
Però un nesso esiste e si trova nel nuovo album del gruppo americano. Si tratta del ritorno allo spirito di quell’epoca, sia sul piano stilistico che su quello emozionale, di un vero rilancio delle vibrazioni metalliche che hanno segnato i capitoli fondamentali di questo genere.
Stessa intensità, feeling, genuinità, eccitazione, forza d’urto, immediatezza, di un sound che è stato poi modificato in una miriade di modi, ma nella sua forma base ha dato la scossa ad un’intera generazione di giovani, entrando nel loro sangue per non uscirne mai più.
Fermiamoci qui per evitare le solite accuse di pietismo nostalgico, ma è giusto sottolineare che i Bible of the Devil hanno realizzato uno stupendo esempio di classico heavy metal, quello dove i brani hanno l’aspetto di epiche cavalcate travolgenti, dove c’è il trionfo di crescendo esaltanti che sarebbero l’ideale accompagnamento di uno scontro apocalittico. I riffs tornano alla loro forma originaria di frustate d’acciaio, la sezione ritmica avanza compatta e conferisce al disco l’andamento fiero e marziale che ha segnato l’epoca ruggente, le strutture musicali presentano passaggi articolati ma non scivolano mai nella stucchevole prolissità dei tempi recenti.
Il lavoro spettacolare delle due lead guitar è l’antica eredità dei Wishbone Ash, poi ripresa e metallizzata dalle grandi coppie Priestiane e Maideniane, mentre lo sbocciare di artifici solistici che si rincorrono sempre più infuocati fa pensare al modello americano delle southern bands. Il canto di Mark Hoffman, parte DiAnno parte Lemmy, possiede la presa abrasiva che da sopra un palco riesce a magnetizzare il pubblico ed a guidarlo attraverso gli inni da battaglia.
C’è potenza ed aggressività, ma non violenza inutile. Ritornano le metal-songs belle e rocciose, dinamiche ed anche cattive, ma ricche di strofe e cori che è possibile seguire e cantare, nulla di somigliante alla caotica brutalità cavernicola di certi filoni modernisti. L’atmosfera del disco è la magnifica tensione che precede lo scatenarsi degli elementi, lo schianto elettrizzante della tempesta, ed ancora la maestosità che intimidisce tanto quanto essere di fronte all’imponenza della natura o al cospetto di un invincibile guerriero.
Ma più importante di tutto questo è la genuina freschezza messa in campo dai quattro di Chicago, la magica sensazione di ascoltare qualcosa di estremamente tradizionale e di piacevolmente nuovo al tempo stesso.
Dovrei descrivere ogni singolo episodio ma per molti il leggere è un impegno gravoso, così mi limito a qualche cenno dei momenti che più mi hanno colpito.
L’assalto serrato ed implacabile, i cambi di ritmo e gli assoli fulminanti di “Guns, germs, steel”, la ruvida urgenza ai limiti dello speed’n’thrash in “Wings of deth”. La magnificenza epic metal dell’esaltante “Cocaine years, cocaine tears”, carica di pathos da pugno levato nell’aria e chiusa in modo inconsueto da un toccante coro a cappella. I riffs fulminanti, le vocals Motorhediane, il ritornello melodico Maiden-style, i cori proto-power (oho-ohoho-ohohooo!), gli echi di durezza settantiana, l’espressività virile e guerresca, un pezzo come “Flee” vale un manuale dell’heavy metal. Particolarmente utile se dovete spiegare cos’è questo genere ad un amico marziano che non ne sa nulla, nei suoi cinque minuti trovate tutto ciò che vi serve.
“Warriors fugue” è già tutta nel titolo. Sangue, sudore, morte e l’adrenalina della battaglia, roba da headbangin’ continuo tranne per quel breve ed elegante stacco arpeggiato.
L’apoteosi arriva con la gigantesca “Sea of rape”, divisa in due parti ma in realtà un’unica “piece of resistance”. La prima sezione semiacustica ed evocativa spiana il terreno alla successiva volata chitarristica, dove il duetto e gli assoli delle lead ed anche i toni della voce pagano più che altrove il debito verso titoli come “Killers” o “Piece of mind” (spero nessuno chieda di quale gruppo…nda), ma la carica di grinta sanguigna riesce a contenere l’effetto derivativo ed i piccoli tocchi di classe, come la sospensione drammatica prima dello sfogo chitarristico o la dolce coda acustica nel finale, indicano che gli americani valgono più dei semplici clonatori.
Certamente non un quartetto straordinario o geniale, casomai bravi artigiani di qualità con una passione smisurata per l’heavy metal. Però il loro merito cresce a livelli altissimi se pensiamo che i ragazzi di Chicago hanno realizzato l’album che perfino miti come Iron Maiden o Judas Priest non pubblicano ormai da un sacco di anni.
Uno di quei dischi capace di mettere tutti d’accordo, appassionati adulti e giovanissimi, rockers e defenders puristi, fans ottantiani e modernisti, ecc, perché l’unica condizione necessaria per godersi “Brutality, majesty, eternity” è il piacere di ascoltare la pura musica metal.
La Bibbia del Diavolo è stata scritta, ora sta a voi immergervi nella lettura.

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