Parallel Minds - Every Hour Wounds...The Last One Kills

Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2019
Durata:45 min.
Etichetta:Pitch Black Records

Tracklist

  1. EVERY HOUR WOUNDS...
  2. THE LAST ONE KILLS
  3. AMERINDS
  4. ON YOUR OWN
  5. I AM C
  6. SYRIA
  7. HOW
  8. THE 52HZ WHALE
  9. KOLYMA

Line up

  • Antoine: bass
  • Grégory Giraudo: guitars
  • Eric Manella: drums
  • Stéphane Fradet: vocals

Voto medio utenti

Un genere di metal davvero difficile da definire quello dei francesi PARALLEL MINDS, giunti al loro secondo album in studio dopo il buon esordio del 2015 rappresentato da “Headlong Disaster”, in questo 2019 danno alla luce un disco che riprende tutte le caratteristiche del debutto intitolato “Every Hour Wounds... The Last One Kills”.
Il loro monicker non inganni, lo stile musicale del combo transalpino non ha nulla a che vedere con il prog-power che fu dei norvegesi “Conception”, piuttosto lo si potrebbe definire, a grandi linee, come una sorta di progressive-groove metal con influenze che toccano una miriade di bands, a partire dai “Nevermore”, per la nervosa schizofrenia delle ritmiche, evidente già nelle prime due tracce che curiosamente compongono la “title-track” con i loro graffianti riffs a metà strada tra il power ed il trash, che richiamano gli “Iced Earth” e che indubbiamente imprimono potenza ed aggressività al disco sin dalle prime battute. Prendendo invece in considerazione altri elementi, come le melodie e la struttura più progressive di alcuni brani, i riferimenti vanno indubbiamente ai connazionali “Elvaron”, autori di un prog-trash ipnotico ed accattivante al tempo stesso, è questo il caso di brani come “Amerinds” o della malinconica “On Your Own”, ma non mancano anche i palesi richiami agli “Orphaned Land” in pezzi come l’orientaleggiante “Syria”, impreziosita proprio dalla presenza del vocalist della band israeliana Kobi Farhi, special guest gradito e perfetto per interpretare questa song. Il sound si arricchisce poi anche di altre contaminazioni come accade ad esempio in “How”, il cui riff iniziale ricorda, neppure molto alla lontana, gli immortali “Savatage” di “Hall Of The Mountain King” ma poi il pezzo sviluppa un proprio andamento autonomo e tutto sommato gradevole a metà strada tra prog e groove, mentre nel finale ricorda in maniera impressionante “Honor Thy Father” di “Train Of Thought” dei "Dream Theater."
Se le chitarre, affidate a Gregory Giraudo, svolgono davvero un lavoro egregio per tutto l’album, dall’inizio alla fine, sia negli assoli che nelle ritmiche, costruendo strutture coinvolgenti e in continua evoluzione, lo stesso non si può dire per le parti vocali, che sono il vero punto debole del lavoro della band francese. La voce di Stephane Fradet difatti, che non è per nulla carente di aggressività sia chiaro, manca tuttavia di espressività, requisito fondamentale nell’interpretazione dei pezzi più intimi, o in quei momenti più introspettivi, all’interno delle tracce, in cui si scava nel profondo dell’animo umano, secondo la tradizione prog, inoltre certe scelte stilistiche, come il cantato in growl (o quasi growl) o determinati effetti, come l’utilizzo della voce filtrata, appaiono fuori luogo e forzate, sollevando non poche perplessità, si pensi a tracce quali “I Am C” o nella conclusiva “Kolyma” dalle forti tinte melodic-death.
In conclusione, a fronte di quanto sopra esposto, i soliti maligni che vedono il bicchiere sempre mezzo vuoto, potrebbero certo emettere un giudizio assai negativo nei confronti dell'ultima fatica del gruppo francese, asserendo che il nuovo lavoro dei Parallel Minds, cosi come il disco d’esordio, non sia altro che un’accozzaglia di elementi pescati a caso da questa o quella grande band del passato, senza che il combo transalpino abbia sviluppato un proprio stile musicale, tuttavia se si guarda la situazione in un’altra prospettiva, ed è questa la mia personalissima opinione, si potrebbe affermare invece, che la band dimostra in questo nuovo album, che risulta davvero gradevole (nonostante il “neo” della voce), una volta ancora, di essersi appropriata di un proprio personalissimo sound, assai eterogeneo, in quanto fortemente contaminato da molteplici correnti musicali e band del passato anche assai differenti tra loro, senza dover per forza somigliare a qualcuno in particolare, a differenza di quanto accade per parecchi gruppi emergenti odierni, che invece si rifanno in maniera fedele, al limite del plagio, ai maestri di uno specifico sottogenere.

Recensione a cura di Ettore Familiari

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