Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2005
Durata:47 min.
Etichetta:Burning Heart
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. INTRO: THE PARTY ZONE
  2. ALL MY FRIENDS ARE DEAD
  3. BLOW ME (LIKE THE WIND)
  4. CITY OF SATAN
  5. DEATH FROM ABOVE
  6. WASTED AGAIN
  7. HIGH ON THE CRIME
  8. IF YOU SEE KAYE (TELL HER I L-O-V-E HER)
  9. STAY FREE
  10. BABYLON FOREVER
  11. HOT STUFF/HOT SHIT
  12. FINAL WARNING

Line up

  • Hank Von Helvete: vocals
  • Euroboy: lead guitar
  • Pal Pot Pamparius: guitar
  • Rune Rebellion: guitar
  • Happy Tom: bass
  • Chris Summers: drums

Voto medio utenti

Secondo album dopo il ritorno sulle scene per la trasgressiva formazione norvegese, amante delle perversioni sessuali, del greve humor nero ed ovviamente del dirty-hard rock.
Un rock che però sta diventando sempre meno “dirty” come si era già notato nel precedente “Scandinavian leather”, del quale il nuovo lavoro è la naturale prosecuzione. In sostanza è scomparso l’aspetto caustico e dissacrante dei Turbonegro, l’indole maligna e sguaiata, la rozzezza punkeggiante, il volto pericoloso ed un po’sinistro che li aveva caratterizzati in passato.
Oggi la band è in grado di produrre dell’ottimo hard anthemico con forte propensione melodica, immediato e di buona fattura, solare e divertente, ma sicuramente più ordinario rispetto agli esordi. I Turbonegro attuali sono quelli degli arrangiamenti patinati e dei cori ammiccanti di brani orecchiabili e potenzialmente radiofonici come “High on the crime” o “Stay free”, oppure delle gioiose infiltrazioni glam di “Blow me”, o ancora della semplicità vintage di rock’n’roll velocizzati ed inspessiti quali “Wasted again” e “Hot stuff/hot shit”, con i caratteristici micidiali ritornelli nati per stamparsi nel cervello
Il disco è pervaso da un’atmosfera allegra e tutto sommato leggera, meno sporca e volgare di prima, ed i travestimenti bizzarri, gli eccessi, le follie tossiche, cominciano a perdere la sostanza provocatoria e a diventare scenografici, come la finta violenza dei lottatori del Wrestling. In quest’ottica si può accettare anche il quasi-plagio ai danni di Queen e Kiss di una “City of Satan” chiusa da una problematica coda orchestrale e che di satanico ha davvero soltanto il titolo.
Ci restano un paio di episodi nei quali il gruppo sfodera i vecchi artigli graffianti, ma non bastano a recuperare quella carnalità esplosiva e corrotta che aveva reso i Turbonegro un piccolo fenomeno underground.
Alla fine “Party animals” è uno degli innumerevoli dischi tutt’altro che brutti ma neppure esaltanti, un lavoro gradevole e ben fatto tuttavia lontano dalle vette qualitative degli scandinavi. La sensazione più forte è che i tempi di “Ass cobra” e “Apocalypse dudes” siano destinati a rimanere un ricordo.

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