Guarda a volte il caso … giusto un paio di giorni fa, nel tentativo di ripristinare un minimo d’ordine nel “caos cosmico” della mia collezione discografica, mi è capitato tra le mani “
Moving target” dei Terraplane, che, con l’occasione, ho riascoltato con sommo piacere.
Che si sia trattato di un “segno del destino” o meno, ho quindi accolto con altrettanta soddisfazione l’opportunità di valutare il nuovo lavoro, abbastanza inatteso, del gruppo nato dalle ceneri di quell’esperienza e che da anni, tra pause e
reunion, allieta tutti gli estimatori dell’
hard-rock blues di stampo britannico.
“
Rip it up” è l’ennesima testimonianza della caratura tecnica e interpretativa dei
Thunder, una formazione che non delude chi nella musica cerca la melodia, l’intensità e “l’anima” di un suono totalmente rigoroso e non per questo apatico e pavido.
Una manciata di canzoni dense di
pathos e
groove vi avvolgerà fin dal primo contatto e se avrete la pazienza di andare oltre un ascolto “frettoloso” sono certo che il programma dell’opera riserverà ulteriori appaganti sorprese ai vostri sensi.
Sono sufficienti le note vibranti di “
No one gets out alive” per capire che la
band inglese non ha perso il suo “tocco” e alimenta con la giusta
verve un canovaccio sonoro tra
Zeps e The Who, e mentre la
title-track recupera l’indole pigra e sinuosa del
blues, tocca a “
She likes the cocaine” (impreziosita dalla voce di
Lynne Jackaman dei Saint Jude) aumentare il coefficiente elettrico, esaltando le doti dei
Thunder nell’antica arte del
rock n’ roll venato di
soul.
La languida “
Right from the start” riserva scampoli di raffinata emozione, la scalciante “
Shakedown” sconta un pizzico di manierismo fortunatamente subito fugato dalle note contagiose di “
Heartbreak hurricane”, un rigoglioso saliscendi armonico di notevole suggestione.
L’albo prosegue nell’operazione di soggiogamento con il clima vellutato e fumoso di “
In another life”, le frizzanti scorie
r n’ b di “
The chosen one” e con le atmosfere distese di “
The enemy inside”, per poi concludersi nelle ammalianti cadenze (ancora una volta con brandelli di The Who nell’impasto sonico) di “
Tumbling down” e nell’ardore passionale di “
There’s always a loser”, risolto con il consueto impareggiabile stile da un sempre ottimo
Danny Bowes.
I
Thunder rimangono una garanzia nel loro settore di competenza, un esempio di come esperti e smaliziati professionisti riescano a sconfiggere gli effetti deleteri della
routine grazie all’amore autentico per certe sonorità, spessissimo date per “spacciate” e invece assolutamente
alive and kicking ... una bella notizia per i tanti “fedelissimi” e per ogni eventuale nuovo adepto.