Copertina 8

Info

Past
Genere:Avantgarde
Anno di uscita:2016
Durata:80 min.
Etichetta:House of Mythology

Tracklist

  1. ENGLAND'S HIDDEN
  2. GLAMMER HAMMER
  3. MOODY STIX
  4. CROMAGNOSIS
  5. THE SPIRITS THAT LEND STRENGTH ARE INVISIBLE
  6. OM HANUMATE NAMAH
  7. DESERT/DAWN
  8. D-DAY DRONE
  9. GOLD BEACH
  10. NOWHERE (SWEET SIXTEEN)
  11. ECCLESIASTES (A VERNAL CATNAP)
  12. SOLARIS

Line up

  • Kristoffer Rygg (Garm, Trickster G.): vocals
  • Jørn H. Sværen: keyboards
  • Tore Ylwizaker: drums
  • Daniel O'Sullivan: guitar, bass, piano

Voto medio utenti

Negli ultimi anni l’ingresso in formazione nel 2009 prima come turnista per i live e poi come membro effettivo, del chitarrista Daniel O’Sullivan, è stata una grande rivoluzione per gli Ulver. Questo acquisto permise loro di fare certe sperimentazioni, come dimostrerà il buon “War Of The Roses”, che prima non si sarebbero potute fare.
Gli anni passano, arriva un certo successo ed i concerti aumentano: il nuovo disco degli Ulver non è altro che una raccolta di brani per la maggior parte improvvisati in sede live per poi essere sviluppati e rifiniti in studio.
Il lavoro è molto corposo, sono ottanta minuti di musica circa, si è riusciti a mutare per l’ennesima volta riuscendo allo stesso tempo a sfornare un disco pieno di spunti molto interessanti e con solo qualche piccolo neo.
Disco dalle mille sfaccettature e che richiede molti ascolti per essere capito ed apprezzato, d’altronde gli Ulver non sono mai stati un gruppo banale, nemmeno nella nostalgica memoria di quella trilogia pagana che fu, molto cara agli amanti del Black Metal.

L’impronunciabile titolo dell’album, che ha dodici lettere, ovvero i dodici segni zodiacali e che non a caso contiene dodici canzoni, apre con “England’s Hidden”, che inizia con dei rintocchi di campane, che ci accompagneranno per buona parte della durata del brano: brano ambient dai tratti fascinosi ed eterei che poi sul finale va su coordinate stilistiche tipiche della musica Drone.
Opener molto semplice e d’atmosfera che, tuttavia, risulta ingannevole su quello che ci aspetta.
Glammer Hammer” già dall’introduzione, ricorda molto uno dei migliori episodi di “Messe I.X-VI.X”: “Glamour Box (Ostinati)”.
L’improvvisazione tocca toni atmosferici e sci fi, con una batteria che a tre quarti del brano in poi assume tratti tribali: ed è qui che si sentono le avvisaglie di quella che è l’ossatura del disco.
Gli Ulver questa volta, pur mantenendo le loro influenze Ambient, che in un modo o nell’altro sono presenti nelle loro sperimentazioni dal ’98 in poi, e qualche rimando alla musica Drone ed a quella orientale, sfornano un disco Krautrock.
In confronto al passato questo è sicuramente un disco molto più Rock, ma comunque mantiene viva l’anima sperimentale del gruppo, d’altronde il Krautrock è un genere sperimentale per sua stessa natura.
Moody Stix” prende l’incipit tribale della batteria e lo sfodera per tutto il brano con una chitarra ricca di effetti, con un uso intensivo del Wah Wah, con alcuni echi Blues ed i sintetizzatori ad accompagnare il tutto.
Il brano mantiene per tutta la sua durata continua queste evoluzioni strumentali, riuscendo a creare un’atmosfera dai toni vagamente settantiani.

Come quarto brano c’è la corposa “Cromagnosis”, traccia dai toni Psichedelici, che si presenta con i suoi dieci minuti di musica circa: altro brano completamente strumentale, che insieme al brano precedente rimanda seppur alla lontana, gli ormai dimenticati Amon Düül grazie anche ad un utilizzo inusuale delle percussioni. Il brano si tiene su ritmiche lente e dismesse, per poi avere un’improvvisa variazione ritmica che va su lidi tribali e via via più veloci, effettati e frizzanti.
The Spirits That Lend Strength Are Invisible” è un
brano Ambient che dopo i tre precedenti, rilassa l’ascoltatore: brano senza infamia e con qualche lode grazie a certi echi Drone.
Om Hanumate Namah” è un vero e proprio mantra in chiave Rock: altro pezzo Krautrock sorprendente che ha un’atmosfera lontana ,esotica, tra il mistico e il religioso, grazie anche al buon Rygg che recita su quella base strumentale quei versi orientali.
Desert/Dawn” è un altro brano dall’atmosfera misteriosa
ed affascinante in cui i sintetizzatori giocano un ruolo chiave: sembra di sentire i migliori Tangerine Dream nei loro lavori più “soft” dal punto di vista elettronico.
In questi otto minuti abbondanti di musica ritornano gli Ulver più squisitamente minimali, seppur l’Ambient qui è differente da quello che ci avevano proposto Rygg e soci in passato: basti pensare ad un disco come “Shadows Of The Sun”, uno dei dischi più famosi degli Ulver per rendersi conto di questo.

D-Day Drone”: il titolo non inganna, è un brano dai tratti drone. Ambient minimale di stampo orientale, che nei suoi nove minuti e mezzo di durata potrebbe ricordare i Sunn O))) più easy.
Gold Beach”, altro brano Ambient, che anche se pecca un po’ per la semplicità della proposta, riesce a trasmettere una certa atmosfera: brano che però lascia un po’ l’amaro in bocca per via del trattamento troppo semplicistico che ha avuto il pezzo.
Si passa al decimo brano, quella “Nowhere (Sweet Sixteen)”, pesante rifacimento di “Nowhere/Catastrophe”, tratta da quel capolavoro notturno di “Perdition City” (2000). Il brano pur risultando piacevole in sé perde a mani basse rispetto al vecchio classico del gruppo: dal vivo però potrebbe avere una certa presa, visto il suo ritornello molto ammiccante ed una chitarra molto ispirata. Dal Trip Hop dai toni oscuri e Jazz, si passa ad un brano ai limiti del Post Rock.
Ecclesiastes (A Vernal Catnap)”: brano dai toni delicati e dalle atmosfere pacate, con percussioni che rimandano ai già citati Amon Düül, un pianoforte minimale (per semplicità paragonabile a “Providence”, contenuta nel già citato “War Of The Roses” del 2011) e un Rygg che qui sfodera una prestazione vocale emozionante.
Spetta a “Solaris” il compito di chiudere il disco, con una traccia di Musica Cosmica dai toni semplici, ma che vista la durata concisa del brano svolge bene il suo compito.

In conclusione questo è un disco molto ricco sia come durata sia come influenze: non è un lavoro per tutti, anzi, il vecchio nostalgico della mai troppo lodata trilogia pagana dovrà starne alla larga, mentre chi si è fatto prendere la mano dalle loro successive evoluzioni potrebbe avere l’ennesima sorpresa. I fan del Krautrock, soprattutto delle band che giocavano di più sulle percussioni e sull’elettronica d’amosfera qui avranno di che gioire. Il fatto che questo lavoro sia nato come raccolta di brani improvvisati (seppur ispirati da alcuni loro vecchi brani), si evince perché siamo alle prese con un album prettamente strumentale, che lascia poco spazio al cantato.
La produzione è di ottima qualità: risulta pulita e molto efficace per il sound proposto, d’altronde la band negli ultimi anni ha sempre dato molta attenzione a questo aspetto. Un disco che per sua stessa natura è per pochi vista la proposta che a molti potrebbe sembrare indigesta: poco male, d’altronde chi cerca le forme più classiche o semplici del rock o del metal non va sicuramente ad ascoltare questa band.

*vecchia recensione pubblicata sulla defunta Metal Winds.

Recensione a cura di Seba Dall

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