Copertina 7,5

Info

Genere:Prog Rock
Anno di uscita:2016
Durata:67 min.
Etichetta:Giant Electric Pea

Tracklist

  1. SHOW ME THE WAY
  2. FOREST FIRE
  3. HOLD
  4. HOW LONG
  5. THE BRIDGE THAT BINDS
  6. DREAMS AND MACHINES

Line up

  • Danny Lopresto: vocals, guitar
  • Cam Blokland: guitar, vocals
  • Crody Green: drums, vocals
  • Jez Martin: bass, vocals
  • Sean Timms: keyboards, vocals, saxophone, lap steel guitar

Voto medio utenti

Mi sono avvicinato a questi Southern Empire un po’ prevenuto, non lo nego. La band nasce dalle “ceneri” degli Unitopia, formazione di crossover-prog che ho sempre trovato prolissa e troppo nostalgica (emblematico il loro album di cover di Yes, Genesis et similia appena un anno prima dello scioglimento definitivo nel 2013), per volontà del tastierista Sean Timms, indubbiamente dotato ma compositivamente non troppo talentuoso, almeno a giudizio di chi scrive. Pare però che la lezione appresa dalla band di cui sopra sia servita (merito anche di una formazione più “snella” e tradizionale, probabilmente) perché il debutto omonimo di questa realtà tutta australiana è un disco di onesto ed equilibrato prog rock che potrebbe fare la gioia di chi rimpiange i Transatlantic di inizio millennio (quelli antecedenti alla deriva morsiana per intenderci). Rispetto alla formazione "a maggioranza americana" ho notato un approccio chitarristico più jazz e meno blues (complice forse anche il saltuario e azzeccato utilizzo del sax, suonato da Timms e dal guest Adam Page), un certo gusto per le sonorità etniche (fondamentale da questo punto di vista l’apporto in studio di Tim Irrgang, già percussionista negli Unitopia) e arrangiamenti tastieristici più tecnici e virtuosi dov’è comunque il gusto a prevalere. Non ho citato il “super-gruppo” americano a sproposito, la band attinge a piene mani dal “meglio” di Portnoy e soci, con lunghi brani epici che sfiorano la mezz’ora (“The Bridge That Binds”), ballate più intime (la conclusiva “Dreams And Machines”), tentazioni dream-theateriane (“Forest Fire”) e doverosi tributi ai capostipiti del genere (“How Long”). Completano il tutto una produzione bilanciata e una prestazione convincente da parte di tutti i membri del combo (non giovanissimi ma in compenso molto esperti). Fatico a immaginare cosa riserverà il futuro a questa band (so che stanno già lavorando a nuovo materiale) ma non ho dubbi sul fatto abbiano iniziato col piede giusto e che, con un po’ di fortuna, possano ritagliarsi una fetta di mercato attualmente “scoperta”. We’ll see…
Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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