Essendo nativi di Brighton, i The Mutts hanno fatto subito gridare al miracolo la nazionalistica stampa britannica, da sempre votata al patriottismo sfrenato e perlopiù scarsamente obbiettivo. Nel presente caso si può comunque giustificare il generoso acclamare, visto che da tempo immemorabile l’isola non generava una buona band di questo tipo, anche se noi ostinati difensori delle tradizioni rock’n’roll di roba simile ne abbiamo invece ascoltata parecchia in anni recenti.
Dopo tanto sperimentare ed innovare si finisce sempre per tornare alle origini, all’embrione di questo genere musicale, ed allora nelle chitarre grezze e rumorose dei The Mutts, nel loro basso pulsante, nei ritmi sostenuti ed energici, nelle urla intossicate del cantante, ritroviamo inevitabilmente i volumi adrenalinici e la sensualità eccitante del Detroit-sound di Stooges ed Mc5 (“Excited, Incest city, Immaculate tramp”), insieme alla semplicità casinista e divertente delle micidiali frustate Ac/Dc (“No luck”) e magari una spruzzata di grinta Motorhead-iana, dei tempi in cui non erano ancora totalmente “true-metal”(“Blood from a stone”).
Se stiamo bene a vedere in quest’album non c’è nulla di nuovo, togliete l’armonica ai Five Horse Johnson ed avrete canzoni identiche a “Engines” o “My town”, ma il dirty-rock è questione d’ispirazione ed attitudine ed i quattro inglesi mostrano dosi di freschezza e cafonaggine sufficenti per essere promossi.
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