Copertina 8,5

Info

Anno di uscita:2016
Durata:54 min.
Etichetta:Frontiers Music

Tracklist

  1. THE WEIGHT
  2. HIGHEST BITTER
  3. HAVOC
  4. PAGES
  5. FLAMES
  6. LOVED ONES
  7. AFTER THE FIRE
  8. REMEMBER
  9. CHIVALRY

Line up

  • Michael Eriksen: Vocals
  • Lasse Finbråten: Keyboards
  • Mats Haugen: Guitars
  • Truls Haugen: Drums
  • Glen Cato Møllen: Bass

Voto medio utenti

Anche al recensore a volte capita di non saper bene cosa scrivere. Una sorta di blocco dello scrittore, qualcosa del genere. Direte voi, c’è così poco da dire sul nuovo album di una band come i Circus Maximus, il cui ultimo album in ordine di tempo è stato universalmente riconosciuto come un mezzo capolavoro? Macché, da dire ce ne sarebbe tantissimo..è che a volte è meglio lasciar parlare la musica.

E di musica “Havoc” ne ha di bellissima, dall’inizio alla fine, fatta eccezione per una discutibilissima title-track..ma ne parleremo a tempo debito.
4 anni dopo il già citato “Nine”, che il sottoscritto ha avuto persino il piacere di ascoltare riprodotto in sede live in maniera magistrale nell’occasione del PPM Fest di qualche anno fa, il gruppo capitanato dal carismatico, nonché vocalmente dotatissimo, Michael Eriksen esce con questo “Havoc”, anticipato un paio di mesi fa dall’uscita dal singolo “The Weight”.
E “The Weight” è anche il brano scelto per aprire l’album in maniera più che buona, ereditando tutto quanto di buono mostrato nel recente passato, senza allontanarsi troppo da uno stile collaudato e che ha portato finora ottimi risultati. Prog arioso, non eccessivamente arzigogolato ma adeguatamente tecnico, interpretato magistralmente dalla voce calda di Eriksen, lontano dalle esagerazioni stilistiche dei Dream Theater e dalla durezza dei Symphony X, più affine a quella nuova ondata di AOR scandinavo patrocinata dalla nostrana Frontiers.
Highest Bitter” sposta un po’ il tiro, con una strofa particolare, dove Eriksen non sembra Eriksen e dove i Circus Maximus non sembrano i Circus Maximus. Però piace, complice un ritornello incisivo e capace di lascare il segno..cosa che, ahimè, non riesce per nulla alla title-track “Havoc”. O meglio, ci riesce in negativo, per colpa di un approccio incomprensibilmente mansoniano o zombiano ad un brano che mai avevamo sentito uscire dalla penna dei norvegesi. Che dite, facciamo finta che non esiste e passiamo oltre?
E oltre troviamo “Pages”, brano che torna stilisticamente tra confini più consoni alla band, ma che risulta globalmente piatto, privo di quel mordente che caratterizzava ogni brano del predecessore. Siamo di fronte a una delusione, al primo “fallimento” dopo 3 dischi di crescendo artistico e qualitativo?
Il tarlo del dubbio inizia a insinuarsi famelico tra le mie sinapsi, finché la ventata pirica di “Flames” non lo riduce in polvere. Da qui in avanti il disco svolta letteralmente, prendendo un ascensore senza fermate verso la stratosfera, rilanciato da un trittico da brividi: “Loved Ones” è l’erede spirituale della “Last Goodbye” di “Nine”, dolce e deliziosamente tecnica, nella quale lo spirito di U2 e Muse inizia a farsi sentire tra le note; “Remember”, scelta recentemente come nuovo singolo, è il brano più smaccatamente AOR e Muse-like del lotto, radiofonica all’ennesima potenza ma godibilissima, con qua e là echi dei Queen; “After the Fire” la lascio per ultima, pur cronologicamente intrappolata tra le due precedenti, perché è qualcosa che non sentivo da anni, se non da decenni, sicuramente il brano più bello mai uscito dalla penna di Mats Haugen e in assoluto una delle canzoni che, negli ultimi anni, più mi ha dato la sensazione di potenzialmente “storica”. Brividi dall’inizio alla fine, una struttura del brano pressoché perfetta, variegata e originale.
E dopo questo giro della morte emozionale, chiude “Chivalry”, che torna a farci mettere i piedi per terra pur in maniera sempre stilisticamente eccelsa e mai banale.

Havoc”, nonostante qualche momento di titubanza iniziale, si dimostra quindi il degno successore di “Nine”, per quanto globalmente leggermente inferiore, nonché l’adeguato proseguimento di una carriera che, finora, non ha mai lasciato nulla al caso e nella quale i Circus Maximus non hanno mai sbagliato un colpo.

Quoth the Raven, Nevermore..
Recensione a cura di Andrea Gandy Perlini

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 04 apr 2016 alle 12:10

Da quello che ho ascoltato mi sembra sinceramente un disco bruttino. Già il precedente ed acclamatissimo Nine mi aveva convinto poco, ma questa loro ulteriore evoluzione (...evoluzione?....) mi convince ancora meno. Quanto mi mancano i C.M. di Isolate.

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