Difficilmente mi capita di attendere l’uscita di un disco con la stessa intensità emotiva con cui si attende la venuta del Messia. Sarà un caso, ma il nuovo album degli
Avantasia arriva proprio intorno a Natale, regalandomi esattamente la stessa sensazione che deve aver provato il buon Giuseppe di fronte alla moglie vergine in attesa del figlio di un altro: sgomento e rassegnazione.
Posso affermare senza paura di essere smentito che, fino ad ora, ogni capitolo della saga Avantasia ci aveva offerto qualcosa di straordinario, con dischi che ancora oggi finiscono spesso e volentieri nello stereo. Questa volta, purtroppo, l’album rimane incastrato in una desolante normalità che nemmeno i numerosi ascolti riescono a scalfire.
L’inizio trae in inganno con la bella "
Mystery Of A Blood Red Rose", già candidata a diventare uno dei classici della band: davvero nulla da eccepire per un brano sostanzialmente perfetto. La successiva "
Let The Storm Descend Upon You" comincia già a mostrare i primi segni di debolezza: melodie abbastanza banali e forzate, lunghezza eccessiva e riffing poco trascinante. "
The Haunting" vede la partecipazione dell’immenso
Dee Snider, in un brano pomposo e teatrale, fondamentalmente noioso. La comparsata di
Geoff Tate, "
Seduction Of Decay", é uno degli episodi da dimenticare, mentre con la title-track fa finalmente capolino il caro vecchio power metal, col microfono affidato a Sua Maestà
Michael Kiske: una ventata d’aria fresca, con l’alieno impegnato a scalare il pentagramma con la consueta, disarmante facilità. Si prosegue con "
Draconian Love", caratterizzata dalla vocalità cavernosa di
Herbie Langhans e da una certa voglia di sperimentare in territori eighties, con risultati decisamente poco confortanti. Superata la facile ironia sul titolo, "
Master Of The Pendulum" ci propone un ottimo ritornello e la partecipazione di
Marco Hietala dei Nightwish, ma a parte il refrain non si colgono aspetti particolarmente interessanti. Nulla a che spartire coi fasti del passato per il duetto con
Sharon den Adel e l’inutilità totale di un brano elettro/pop/ambient come "
Isle of Evermore". Si torna a correre un pochetto con "
Babylon Vampyres", una delle poche cose da salvare, impreziosita dalla presenza di
Robert Mason dei Warrant e da un ottimo lavoro chitarristico confezionato dal trio delle meraviglie
Kulick/Hartmann/Paeth. L’attesa per la ballad strappamutande muore definitivamente con "
Lucifer", una canzone che si salva solo grazie alla personalità di
Jorn Lande. Molto carino il power scanzonato di "
Unchain The Light", mentre la suite finale "
A Restless Heart And Obsidian Skies" con
Bob Catley, pur raggiungendo ampiamente la sufficienza, chiude il disco senza sussulti.
Produzione di grande qualità, musicisti di livello altissimo, cantanti con caratteristiche uniche che collaborano tra loro: come al solito c’era tutto il necessario per fare un disco monumentale. È mancata “solo” la capacità di scrivere belle canzoni, con la magia che alberga nelle meningi del caro Tobias che ha fatto clamorosamente cilecca, producendo un album che non arriva nemmeno a sfiorare i capolavori precedenti. Spero vivamente sia solo un incidente di percorso e non l’inizio della fine, ma per quanto mi riguarda siamo molto lontani dalla sufficienza.