Copertina 10

Info

Anno di uscita:2005
Durata:45 min.
Etichetta:Relapse
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. SCIENTIFIC REMOTE VIEWING
  2. WRAITH
  3. COUNTING THE DAYS
  4. THE WILL OR THE WAY
  5. PIECEMAKER
  6. ENVIOVORE
  7. DYING WILL BE THE DEATH OF ME
  8. INSIDE IS OUT
  9. SLEEPRACE
  10. KILL FOR WEED
  11. LITANY OF FAILURE
  12. ONTOGONY OF BEHAVIOR

Line up

  • Lenzig Leal: vocals
  • Zac Joe: guitars
  • Steve Goldberg: guitars
  • Jawsh Mullen: bass
  • John Merryman: drums

Voto medio utenti

Una volta i Cephalic Carnage erano famosi per il loro hydrogrind, un grind immerso in digressioni “liquide” a base stacchi free-jazz, supportato da una bravura tecnica eccelsa. Col tempo questa dimensione liquida, almeno sul piano strumentale è andata via via scemando, ed era certamente ridotta al lumicino sul precedente e ottimo “Lucid Interval”, fino a spegnersi del tutto su questo nuovo “Anomalies”, laddove però a diventare “liquido” e “trasversale” è il sound tutto. I Cephalic Carnage hanno così compiuto la definitiva trasformazione, abbandonando così uno stadio larvale per divenire quella che è può essere definita come una creatura multiforme, camaleontica e maledettamente coinvolgente.
Non c’è una definizione per questo disco, per questo sound cui forse il termine più adatto sarebbe “progressivo”, nell’accezione più lata del termine. In fondo non conosco molte bands in grado di fondere, badate bene rasentando la perfezione, il grindcore più deviato, il brutal death metal più pesante, lo stoner/doom pachidermico e lisergico, un certo flavour black, questo solo per citare le componenti principali, perché poi all’atto pratico il sound è molto più sfaccettato.
L’opener “Scientific Remote Writing” si apre con un assalto brutal/grind sferragliante, in cui il singer Lenzig Leal fonde i suoi screams con i growls di Travis Ryan dei Cattle Decapitation, la seguente “Wraith” vede la band continuare il suo assalto sospeso tra bordate furiose e paurosi rallentamenti, con un batterista tentacolare e incapace di suonare un tempo pari, ed un riffing dal flavour black metal già presente sul precedente “Lucid Interval”, immaginate gli Ephel Duath di “Painter’s Palette” centrifugati alla velocità della luce. “Counting The Days” è “downthroat death metal”, con un ritmo più lento e groovy, comunque soggetto agli scoppi d’ira e di estro della band, convulsa, ripiegata su se stessa, implosa fino al collasso finale. “The Will Or The Way” cita i labelmates Origin nel suo incedere pesante marchiato a fuoco dal grind, anche se fa capolino certo riffing death’n’roll. “Piecemaker” ci porta nel deserto, stoner pesante, sospeso tra Kyuss e Bongzilla, iperamplificato, con un sound massiccio e pesante come una barra d’acciaio, ma comunque capace di catturare, con un andamento che oserei definire “positivo” o addirittura “orecchiabile”, se non fosse che corrode il cervello col suo finale ultra-slow e grasso. “Enviovore” cita i Dillinger Escape Plan, raggiungendo picchi d’intensità e nevrastenia mostruosa, un vero calcio in faccia. “Dying Will Be The Death Of Me” è il fratello brutto, sporco e cattivo del nuovo trend metalcore, con tanto di riffing “felice” e clean vocals, una dimostrazione di classe e bravura in faccia ai nuovi presunti “fenomeni” che tentano di proporsi dal Nord America. “Inside Is Out” cita i Meshuggah, con un inizio quadrato e schizofrenico, il quale ci porta ad un break acustico, preludio ad un bestiale e feroce assalto math-grind subito seguito da un cupo death metal che va a deragliare in una pozza di chaos sonoro che riprende il tema iniziale. Con “Sleeprace” si ritorna a pesanti sonorità stoner/doom alternate a sfuriate grind, con un assolo che sbuca direttamente dagli anni ’70, così come le vocals. “Kill For Weed” riparte da dove ci eravamo lasciati, ma l’andatura della song è molto più cupa, si respira un’atmosfera quasi lugubre e decadente, e gli stacchi grind raggiungono velocità disumane, sembra quasi di sentire gli Anal Blast o i Regurgitate. “Litany For Failure” è ancora deathcore pesante e malato che ci conduce all’atto finale, ovvero a “Ontogony Of Behavior”, song che inizia lenta e placida, con arpeggi melanconici che crescono pian piano, supportati dalle declamazioni de singer che parla con un filtro alla voce che ne rende il tono ultra gutturale e distorto, e sfociano in un sound decisamente progressivo, dilatato, imbevuto di visioni lisergiche provenienti direttamente dai seventies, fino a che il lato brutale e malato della band non prende definitivamente il sopravvento e dà il colpo di grazia al nostro cervello, fino al fading finale, metafora vivificatrice del nostro encefalogramma. Amen.
“Anomalies” è la maturità dei Cephalic Carnage, il disco definitivo, almeno fino al prossimo; quarantacinque minuti senza cedimento alcuno, senza cali di tensione, senza nemmeno la minima ombra della noia, capaci di tenere sempre viva l’attenzione, almeno fino a che il cervello regge, fino che ce n’è rimasto ancora un po’. Coinvolgenti, sperimentali, avanti a tutti. Punto, punto e virgola e punto esclamativo.
Recensione a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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