Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2003
Durata:50 min.
Etichetta:Livewire
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. JIHAD VS. MCWORLD
  2. CORPORATE GENOCIDE
  3. WITHOUT GUNS
  4. YUMMY HOUSE
  5. REVERSE
  6. MR. HARRIS
  7. RELIGION BUZZ
  8. DREAM JAPAN
  9. PENGUIN SONG
  10. BOOM KA BOOM
  11. OPIUM HOTEL
  12. THE CITY TODAY
  13. SKY HIGH
  14. ANOTHER WAR

Line up

  • Kory Clarke: vocals, keyboards, drums
  • Alex Edwards: guitar, bass, keyboards

Voto medio utenti

Kory Clarke è uno di quei personaggi spessi, carismatici, la cui notorietà sopravvive alle formazioni che li hanno resi famosi. Nello specifico i Warrior Soul ed i Spaceage Playboys. Artisti in grado di crearsi un seguito personale che sostiene con passione la loro evoluzione musicale.
Ed è al gruppo di propri fans che si rivolge particolarmente il primo disco solista di Clarke.
Un lavoro basato sulla sperimentazione e sui contrasti, pieno zeppo di elaborazioni elettroniche forse anche in maniera eccessiva, ma con lo sguardo pronto a rivolgersi al rock, al blues, ad atmosfere cupe e tecnologiche in funzione di liriche combattive e fortemente politiche, che mettono a nudo le contraddizioni della società del consumo e la fallacità del Grande Sogno Americano.
Non è certo una novità che alcuni musicisti raggiunta l’età matura ed una buona fama, sentano l’irresistibile esigenza di esprimere il loro lato più nascosto, quello intimo e personale, l’essenza dell’uomo dietro la maschera della rockstar pubblica, esattamente ciò che ha cercato di fare l’ex leader dei Warrior Soul in questo lavoro.
La quasi totalità dell’album è volutamente filtrata, distorta, immersa in un gelido e malsano scenario disumanizzante che potrei raffigurare in alcuni frammenti del mondo da incubo di Blade Runner.
Molte tracce non sono altro che reiterate basi sintetiche sulle quali si deposita l’angosciante voce manipolata di Clarke, il quale pare più interessato a declamare che a cantare, come in “Yummy house”,”Boom ka boom” e nell’interminabile e monotono manifesto finale “Another war”.
Il contrasto arriva con i carnali riffs hard e la rabbia di “Reverse”, con l’incantevole blues lunare “Corporate genocide” e con una bellissima title-track acustica che rievoca le calde folk-ballad di Neil Young, quasi a testimoniare la forza indispensabile dell’umanità e dell’animo in una soffocante e spersonalizzante tecno-crazia.
Ancora aggressività sintetica e vocals vicine al rantolo robotico in “Religion buzz”, sofisticati sussurri narcolettici per “Dream Japan”, ed esperimenti non del tutto riusciti di trance-rock computerizzato in “Penguin song”, in una caleidoscopica rotazione di situazioni che pare essere allo stesso tempo pregio e difetto del lavoro. C’è la chiara sensazione che il cantante abbia voluto provare un po’ di tutto, testare le reazioni del pubblico ad una esibizione ridondante e variegata ma priva di una direzione precisa, quasi una serie di carte prelevate a caso dal mazzo.
Certamente intelligente e pungente Clarke voleva una creatura fortemente propria, lontana dalle cose che avevano caratterizzato le sue precedenti esperienze, ed in certi episodi ha forse calcato troppo la mano finendo fuori misura, vedi il pessimo e scolastico kraut-rock “The city today”, ma offrendo anche spunti di gran classe post-rock, su tutti il raggelante lamento “Sky high” brano così scarno e sconsolato da mettere i brividi.
Risultato complessivo sfocato, come le foto del booklet, ma non da disprezzare. Sicuramente da consigliare ai fans del cantante che vorranno scoprire un volto nuovo del loro beniamino, per gli altri è necessario un’ascolto preventivo.

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