Copertina 4,5

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2014
Durata:53 min.
Etichetta:Nuclear Blast

Tracklist

  1. THE WOLVES DIE YOUNG
  2. RUNNING LIGHTS
  3. TAKE ONE BREATH
  4. CLOUD FACTORY
  5. BLOOD
  6. WHAT DID YOU DO IN THE WAR, DAD?
  7. HALF A MARATHON MAN
  8. X MARKS THE SPOT
  9. LOVE
  10. LARGER THAN LIFE

Line up

  • Tony Kakko: vocals, keyboards
  • Tommy Portimo: drums
  • Elias Viljanen: guitar
  • Pasi Kauppinen: bass
  • Henrik Klingenberg: keyboards

Voto medio utenti

Siamo dunque arrivati a questa nuova uscita discografica dei Sonata Arctica. L'attesa per i fans è così finita ed i giudizi cominciano a fioccare per Kakko&C. Le aspettative erano altissime e, da quello che era circolato, sembrava che il gruppo finlandese stesse mirando ad un ritorno alle origini, forse per i troppi buchi nell'acqua con gli ultimi album e un po' per riportare verso di sé i supporters che si erano leggermente allontanati a causa degli esperimenti abbastanza rischiosi tentati sin dai tempi di Unia.

Proprio con la release appena nominata è cominciata la separazione fra il sottoscritto e i Sonata Arctica, a mio parere sempre meno capaci di riprodurre opere d'arte come Ecliptica e Silence, spostandosi sempre più verso lidi approssimativamente pop e ingiustificatamente meno metal.
Le emozioni che suscitavano canzoni come Full Moon, 8th Commandment, Letter to Dana, The End of this Chapter e via dicendo sembrano oramai essersi dissolte nei meandri della memoria della band finlandese e del songwriting di Kakko, proponendo delle cosiddette canzoni come I Have A Right (che mi da i brividi ogniqualvolta mi arriva alle orecchie).

Desideravo, agognavo, questo Pariah's Child e il suo contenuto, ed ancora adesso, dopo innumerevoli ascolti non ho al momento capito cosa abbiano tentato di fare i Sonata Arctica.
Un ritorno malfatto al passato? Un nuovo esperimento? Un album scritto in fretta e furia per non farsi dimenticare di esistere? Ebbene il gruppo finlandese non è equiparabile a quegli scrittori ottocenteschi che, pressati dai debiti e dai vizi, sfornavano capolavori con velocità impressionante, senza pensare, senza respirare. Kakko&C. stanno pagando dazio a Dio dei loro iniziali capolavori, dei loro primi e indimenticabili successi, avviandosi ad un lento ed inesorabile smorzamento, la fiamma delle idee si sta indubbiamente affievolendo, la luce è fioca, urge drastico cambiamento di rotta. I Sonata Arctica possono e devono fare di più. Con Pariah's Child si nota un ritorno alla melodia spiccia, senza troppe elaborazioni, e, secondo il mio modesto parere, questo tentativo di non rischiare più di tanto è ancor più riprovevole di quegli esperimenti post-Reckoning Night assolutamente non riusciti. Un discreto o un più che sufficiente non è adatto a questa band, dalle ancora enormi potenzialità inespresse, composta da musicisti fenomenali e da un cantante con una delle voci migliori degli ultimi vent'anni nel panorama metallico.

Questo disco è paragonabile ad un gigante vecchio ed affannato, che, siccome non è più in grado di compiere le imprese eccezionali per cui lo si conosce, si limita a ripercorrere i suoi passi, a compiere azioni abituali non degne di nota. Oltretutto a sostenere questa release c'è soltanto il lavoro vocale di Kakko, che è inutile lodare, tanto da lui si sa sempre che la prestazione sarà sempre ottima. Tuttavia il songwriting spiccio, debole e ansante soffoca Pariah's Child dall'inizio alla fine.

La dimostrazione di tutto questo è data già dall'opener The Wolves Die Young (altro richiamo al passato sia sulla copertina che su questo brano) flebile mid-tempo che fa pensare a dove sia finito quel gruppo in grado di trasmettere allegria e irrefrenabile gioia con pezzi come Black Sheep. Il tutto è sin troppo scontato, già sentito. Con Running Lights si tenta quel ritorno al power sfrenato, doppia cassa scatenata, melodie orecchiabili, chorus superato. Take One Breath mi è sembrato forse uno dei pochi pezzi freschi e notabili in Pariah's Child, forse da qui i Nostri sembravano (o potevano) rialzarsi. Caduta inesorabile invece con Cloud Factory che sembra una sigla di un cartone animato di serie zeta, persino irritante. Blood è anch'esso un capitolo accettabile di questo lavoro, ma con What Did You Do in the War, Dad v'è un'altra caduta di stile salvata dalla sola prestazione di Kakko. Half a Marathon Man è incommentabile, si gioca sempre su motivetti orecchiabili dal ritmo hard-rock. Con X Marks The Spot nemmeno la voce aiuta a salvare la performance dei Sonata Arctica, quei pezzettini semi-parlati, quasi rappati fanno veramente voltare lo stomaco, inascoltabile. Love è da saltare a piè pari perché si sa che il gruppo finlandese è maestro nel scrivere ballad, skip-track. Larger Than Life (quanto cavolo è lunga questa canzone?) conduce nel reame incantato di "quando-diavolo-finisce-sto-disco" facendo ansimare e rigirare l'ascoltatore in preda alla noia più estrema.

Alla fine di Pariah's Child si resta veramente con un grosso punto di domanda nella testa, non si riesce chiaramente a capire cosa i Sonata Arctica abbiano tentato di fare. Ci sono un paio di buoni episodi, ma il resto è indecifrabile. È ora per Kakko&C. di tornare sulla terra e, se vogliono restare su un altro pianeta, abbiano la decenza di cambiare genere.
Recensione a cura di Stefano Giorgianni

Ultime opinioni dei lettori

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 16 apr 2014 alle 18:02

Se Tony Kakko è "un cantante con una delle voci migliori degli ultimi vent'anni nel panorama metallico" allora siam messi proprio male!

Inserito il 10 apr 2014 alle 17:53

Provo a dire la mia. A me questo disco piace e anche tanto. Trovo che i Sonata abbiano dato il meglio coi primi quattro dischi (con Reckoning Night come apice assoluto) ma ho amato moltissimo anche i tre successivi, come chi ha letto le mie recensioni su questo portale, forse ricorda. Provo a fare qualche considerazione, forse un po' polemica ma pazienza: 1) trovo che sia inutile continuare a tirare in ballo i primi due album. Un gruppo ha il diritto di evolversi, di sperimentare, e poi, avessero continuato così senza mutare stile, siamo sicuri che ci avrebbero regalato roba di qualità? Personalmente dubito. I Gamma Ray, da questo punto di vista, insegnano. Gli Stratovarius Idem. 2) i Sonata fanno un genere tutto loro. Li riconosci subito. Hanno trovato un marchio di fabbrica e se lo tengono stretto. Sono arzigogolati, a volte fuori di testa, certe cose possono sembrare incoerenti. Forse qualche volta hanno esagerato e con quest'ultimo lavoro hanno iniziato un po' ad autocitare le loro cose più sperimentali. Ma sono stati abili e coraggiosi, bisogna dargliene atto. Inoltre, al netto delle critiche, i loro ultimi dischi vendono di brutto e piacciono. L'ultima volta che li vidi, durante il tour di Days Of Grays, la gente cantava a memoria tutti i pezzi nuovi. È vero che il successo di pubblico non è una garanzia (altrimenti i Coldplay sarebbero la band più grande del mondo) ma qualcosa in questo caso vorrà pur dire. Oppure i metallari si sono tutti rincitrulliti? Perché ai loro concerti ci vanno i metallari, è ancora così... 3) la recensione di Graz mi ha divertito e lui rimane un grande. Però mi ha infastidito il suo commento, dopo, quando dice più o meno: non capisco come si faccia a parlarne bene. Chi ne parla bene deve per forza avere qualche tornaconto. Beh, qui mi spiace ma sbaglia. Io non l'ho recensito per il mio giornale, sono qui a parlarne bene e la Nuclear Blast non sa nemmeno chi sono. Sinceramente gradirei che le opinioni altrui venissero rispettate. Questo disco è una schifezza? Probabilmente lo è per tutti quelli che amano esclusivamente certe sonorità e che fanno fatica a concepire altro che non sia il power metal più classico e melodico. 4) infatti, secondo me, il punto è proprio qui. Da quanto sei abituato a spaziare. Io ho sempre ascoltato tante cose diverse, tanti generi e scene diverse. Il power lo amo ancora ma dopo un po' mi stufa. Trovo sia chiuso, limitato. E per questo che non escono più dischi validi e quelli che escono sono zeppi di manierismo. Se il trademark stilistico è quello, le soluzioni che adotti alla lunga sono sempre quelle. Attenzione, non dico che si debba per forza ascoltare un sacco di generi. Ognuno fa quel che vuole. Quello che voglio dire è: chi dice che questo disco fa oggettivamente schifo è libero di pensarla così ma io credo che la sua opinione sia frutto del fatto che non riesce a concepire che un gruppo che un tempo suonava come i primi Sonata, adesso sia cambiato così tanto. Scusate la lunghezza.

Inserito il 09 apr 2014 alle 00:39

secondo me obiettivamente si salvano blood,larger than life e running lights...le altre possono piacere o non piacere... what did in the war ,dad dovrebbe essere il seguito spirituale di replica forse a molti non sono piaciute perche credevano e speravano di ascoltare canzoni con un forte carattere heavy metal...in realtà abbiamo tra le mani canzoni che per certi aspetti sono metal e per altri se ne allontanano un po' dal gen ere.

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