Copertina 7,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2011
Durata:56 min.
Etichetta:Nuclear Blast

Tracklist

  1. FACING TOMORROW
  2. DENIAL
  3. FLOOD RIVER BLOOD
  4. VOYAGE OF DISCOVERY
  5. IN SILENCE WITH MY SCARS
  6. MY FALLEN
  7. DESTROYER OF BLOODLINES
  8. WAYWARD SOUL
  9. THE BOTTOM DEEP

Line up

  • Erik Mortensen: Bass
  • Tor Atle Andersen: Drums
  • Oddleif Stensland: Guitars, Vocals

Voto medio utenti

Spero vivamente che il Megadirettore non legga questa prima riga, anche se temo lo farà data la sua passione per i Communic, ma mai come in questo caso sono contento di poter dire aver sforato il termine di consegna di una recensione.
Scioglilingua: ci sono degli album che piacciono dal primo ascolto e poi continuano a piacere, album che non piacciono e continuano a non piacere, album che piacciono e poi non piacciono più e album che non piacciono e poi, improvvisamente, come una donna che ha bisogno di un lungo periodo di corteggiamento, mostrano tutte le loro caratteristiche migliori, tutte le loro doti. “The Bottom Deep” appartiene senza dubbio a quest’ultima categoria.

I Communic nascono in Norvegia nel 2003 e, a testimonianza che il freddo stato del nord Europa non è solo la patria di black e doom, ci propongono un saggio mix di thrash, heavy, power e prog, affinatosi col passare del tempo e diventato una miscela davvero esplosiva e di sicuro impatto. Possiamo finora dire che non hanno sbagliato un colpo, forti anche di una grande stabilità a livello di line-up, che li ha portati a mantenersi nel tempo come un’unità, sia a livello meramente visivo sia dal punto di vista musicale e stilistico. Un’evoluzione costante insomma, che ha arricchito il loro suond di elementi nuovi, cercando allo stesso tempo di allontanarsi da quell’etichetta di band clone dei Nevermore, che li ha accompagnati fin dall’inizio della loro carriera.
Clone? Si, perché le sonorità dei Communic sono innegabilmente affini alla band di Seattle, in particolare negli arpeggi di chitarra e nell’alone di tristezza che permea ogni nota. E si per la voce di Oddleif Stensland, malinconico e potente a seconda dell’occorrenza. I Nevermore però dalla loro hanno una maggiore complessità e una varietà stilistica ancora inespressa, a mio parere, dai norvegesi.
Clone? No, perché i Communic hanno un’arma in più nel loro sound, ovvero una certa freschezza tipica delle band scandinave, che li accomuna piuttosto ai primi lavori di Mercenary e Soilwork, tanto per citare due esempi. E no, perché la batteria di Tor Atle Andersen non è il rullo compressore di Van Williams, impeccabile e perfetto metronomo ma ultimamente troppo ridondante. E soprattutto no perché la voce di Oddleif Stensland da “croce” diventa delizia, offrendo un range attualmente più vasto di quello di Warrel Dane, ormai da tempo attratto irrimediabilmente verso il basso. Oddleif invece riesce ancora a spiccare voli verso la parte alta del pentagramma, come riscontrabile ad esempio nella parziale follia di “Flood River Blood”, oltre a cimentarsi con notevole bravura con le sei corde.
Come dicevo all’inizio però, “The Bottom Deep” è un album dannatamente complicato da mandar giù, soprattutto se ci si limita a 2 o 3 ascolti distratti. Ha bisogno infatti di essere metabolizzato a dovere, dato che le canzoni si somigliano parecchio, scernendo le peculiarità di ognuna e godendone a piccoli bocconi. Una volta riusciti in questo processo, abbiamo di fronte un album notevole, che non raggiunge il picco di “Payment of Existence” ma si lascia ascoltare alla grande, frutto anche di un notevole lavoro a livello di songwriting, ormai decisamente maturo dopo 4 dischi.
Il problema di quest’album però è ancora il problema che ha caratterizzato finora tutte le uscite dei Communic: l’eccessiva lunghezza. Sia chiaro, non ho nulla contro le canzoni lunghe, anche perché nei passati dischi la cosa tendeva a passare un po’ in secondo piano, ma l’impressione è che su “The Bottom Deep” troppo spesso i norvegesi tendano a prolungare una canzone senza aggiungere nulla al risultato finale, risultando prolissi senza una ragione particolare, senza cambi di ritmo, senza nulla che faccia saltare sulla sedia. E anche se dagli 8 minuti di media dei precedenti siamo passati ai 6 di quest’ultimo album (andiamo infatti dai 5.16 di “Flood River Blood” ai 7.44 dell’opener “Facing Tomorrow”), paradossalmente è proprio in questo disco che troppo spesso si ha la sensazione che se la canzone fosse finita prima non ci saremmo persi nulla, anzi se ne sarebbe guadagnato in brillantezza. Esempi lampanti sono “Denial” e “My Fallen”, forse le due più Nevermor-iane del lotto, canzoni splendide e magniloquenti, dall’incedere marziale, ma entrambe con un paio di minuti di troppo.

In conclusione un album in pieno stile Communic, dall’inizio alla fine, che ha bisogno di almeno 5 o 6 ascolti per essere capito appieno, ma che non raggiunge il livello di “Payment of Existence”, a mio parere il vero capolavoro dei norvegesi. E parlando di fine, ho dimenticato di citare la conclusiva “The Bottom Deep”, delicata conclusione di un album di buona fattura, che non cambierà certo il corso della storia dei Communic, ma che conferma ancora una volta che i 3 scandinavi non ne toppano una.

Quoth the Raven, Nevermore..
Recensione a cura di Andrea Gandy Perlini

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 02 ago 2011 alle 16:23

Canzoni accorciate rispetto al loro standard,ma comunque ancora troppo lunghe per il loro contenuto di idee...resta il fatto che secondo me questo è il loro miglior album! ps.non consiglio l'acquisto del limited edition con 2 canzoni in + che a mio avviso sono entrambe pessime ^__^

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