Copertina 7,5

Info

Dvd
Anno di uscita:2010
Durata:55 min.
Etichetta:Demolition Records
Distribuzione:Frontiers Records

Tracklist

  1. C’MON
  2. MISLED
  3. HEY YOU
  4. THIS IS ROCK’N’ROLL
  5. THERE SHE GOES AGAIN
  6. SHOW ME WHAT YA GOT
  7. TRAMPS & THIEVES
  8. I DON’T LOVE YOU ANYMORE
  9. TURN AWAY
  10. 7 O’CLOCK
  11. WHIPPIN’ BOY
  12. SEX PARTY

Line up

  • Spike: vocals
  • Guy Griffin: guitar
  • Luke Bossendorfer: guitar
  • Nigel Mogg: bass
  • Jason Bonham: drums
  • Keith Weir: keyboards

Voto medio utenti

Flashback: tardi anni ottanta. Grande buzz attorno ad una band Britannica chiamata Quireboys, che viene dipinta come una sicura artefice del rilancio musicale del Regno Unito ormai incapace di opporre una qualche credibile resistenza allo strapotere americano. L’innato narcisismo nazionalistico della Vecchia Albione suggerisce prudenza e anche la presenza in formazione di Nigel Mogg, nipote del leggendario frontman degli UFO Phil, figura fondamentale del rock inglese e primo sostenitore e manager del gruppo in questione, getta una vaga ombra di sospetto (favoritismi?) su tutta la faccenda.
Quando esce “A bit of what you fancy” tutto si chiarisce … difficile immaginare qualcosa di più efficace in quel settore che mescola Rolling Stones, Ian Hunter e i suoi Mott the Hoople, Lynyrd Skynyrd, Hanoi Rocks e The Faces, abilmente coordinato dalla voce di Spike, vibrante erede dell’ugola del Rod Stewart “giovane”, dotata di un rasp e di un ardore non troppo lontano da quella di un altro protagonista del periodo, Mr. Tom Keifer dei Cinderella.

Da allora sono successe un bel po’ di cosette e si sono succedute un sacco di mode più o meno effimere, ma il rock n’ roll, quello inzuppato di blues, di soul, di forza viscerale e di feeling granuloso e radicato, sembra rimasto intatto, almeno se diamo credito alle emozioni provate durante la visione di questo Dvd (la confezione prevede anche un analogo Cd), in cui i Quireboys, seppur diversi nell’organico (segnalazione obbligatoria per un certo Jason Bonham, ottimo come sempre nel suo muscolare drumming!), catturati dal vivo nel 2004 sul palco del mitico Marquee Club (quale cornice migliore per questi fieri gonfalonieri dell’Union Jack?), non fanno per nulla rimpiangere quelli che tanto avevano impressionato ai tempi d’oro.
Non si tratta di una questione di nostalgia, o meglio non solo di quella, dal momento che le canzoni possiedono un’ispirazione che le rende spesso pressoché immarcescibili e dacché la band, con l’esuberante Spike in testa, conserva la vitalità e l’energia necessarie a renderle ampiamente appetibili anche per chi quel periodo non l’ha vissuto in diretta.
E poi si vede (e si sente) che questa è gente che dal vivo si sa ancora divertire e così facendo diverte il numeroso pubblico presente e anche noi che fruiamo di questa brillante esibizione attraverso il filtro di un freddo schermo televisivo.
Nulla può, però, oggettivamente impedire allo slancio pregno di honky tonk sudista di "Misled”, alla ruffianeria di "Hey you”, al romanticismo disperato di "I don’t love you anymore”, all’armonica e alla melodia contagiosa della hit “7 o’clock” o ancora alla bellezza dei due encores, l’intensa “Whippin’ boy” e l’invitante r’ n’ r’ al calor bianco denominato “Sex party” (ma c’è anche ottima roba più recente, come la pulsante “Show me what ya got”, ad esempio, per una tracklist piuttosto soddisfacente nella sua totalità), di raggiungere i vostri sensi e di scuoterli con quella mistura di “sporcizia”, classe, dissoluzione, baldoria e inquietudine.
Aggiungete una regia dinamica e precisa e immagini nitide che si concedono il piacevole vezzo di alternare sapientemente il colore al bianco e nero (ad accentuare un po’ l’effetto elegiaco …) e otterrete un prodotto privo di orpelli (nessun extra, menu d’accesso essenziale, …), che ha “nascosta” direttamente nella sua scaletta la risposta più plausibile ad un quesito divenuto ormai imprescindibile a fronte della folta e disagiata offerta discografica attuale … perché dovrei investire del denaro in “Live in London”? Perché This is rock’n’roll … semplice no?
Recensione a cura di Marco Aimasso

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