Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2010
Durata:61 min.

Tracklist

  1. L'INGRESSO
  2. NEI GIARDINI DI BABILONIA
  3. LA PORTA ROSSA
  4. VISCERE
  5. LA PORTA BIANCA
  6. UN VOLO D'ARGENTO
  7. LA PORTA GIALLA
  8. NUOVI RAMI
  9. LA PORTA BLU
  10. RIFLESSO
  11. LA PORTA NERA
  12. QUINTESSENZA
  13. LA FINE DEL VIAGGIO

Line up

  • Gabriele Moretti: guitars
  • Diego Ribechini: vocals
  • Federico Razzi: bass, stick
  • Filippo Fantozzi: keyboards
  • Francesco Bruchi: drums, percussions
  • Elena Alice Fossi: vocals
  • Alessandra Caponi: flute

Voto medio utenti

La grande tradizione del prog italiano (PFM, Banco del Mutuo Soccorso, …), compresi certi richiami alla sua scuola più “oscura” (da Il Balletto di Bronzo ai Nuova Era), influssi di hard e di metal tecnicistico, suggestivo e “sperimentale” (Rush, Dream Theater, Fates Warning) e vaghe inoculazioni di rock italico raffinato e intellettuale (Litfiba, Aleph, Negramaro), s’incontrano nella terza ambiziosa fatica dei toscani Quintessenza, intitolata “Nei giardini di Babilonia” e offerta al pubblico con le sembianze di un’Opera Rock intenzionata a descrivere, tramite il consueto cast di personaggi, "la caduta e dell’ascesa di un uomo qualunque che viene trasportato dalla propria anima in un mondo immaginario (Babilonia), dove un guardiano lo attende per iniziarlo al viaggio che deve intraprendere […], un percorso all’interno dei Giardini di Babilonia che lo condurrà a scavare nel fondo del suo Io più intimo, che lo aiuterà a liberarsi definitivamente delle proprie paure e che gli permetterà di ascendere ad una vita nuova".
La catalogazione del disco, l’identità nazionale del gruppo e i suoi precedenti consentono in qualche modo di fantasticare di un nuovo capolavoro da affiancare, senza volersi spingere troppo lontani nel tempo, al "Abraham" dei Quasar Lux Symphoniae, e anche se tale aspettativa non verrà, come vedremo, completamente confermata alla prova dei fatti, sono certo che i molti fans del genere usciranno sicuramente ampiamente soddisfatti dalle attente ed estese sessioni auditive concesse a questa godibilissima autoproduzione (peraltro ottima sotto il profilo sonoro e impeccabile per quanto concerne quello estetico).
Innanzi tutto bisogna parlare di un linguaggio musicale caratterizzato che riesce tuttavia a essere abbastanza personale grazie a sapienti iniezioni di creatività, di uno stile ricco di sovrapposizioni eppure sufficientemente sobrio, lontano da espressioni esageratamente contorte e di un supporto concettuale pieno di stimolanti simbolismi.
Dall’altro lato, però, l’impianto narrativo appare forse sin troppo ermetico e “acquitrinoso”, nonostante il notevole fascino e il sussidio di porzioni recitate con funzione drammatico - didascalico.
E poi, almeno per quanto mi riguarda, c’è la voce di Diego Ribechini, alquanto generosa in fatto di espressività e capacità interpretativa se solo non fosse costretta dal suo proprietario a iperboli timbriche in forma high-pitch, francamente non sempre gradite, in questo caso, dal mio apparato uditivo.
E’ un peccato, perché quando Diego sfoga la sua piena vocalità su frequenze meno elevate e spinte, sa spalancare le porte delle stanze più segrete dell’emozione, coadiuvato in questa impegnativa operazione dalla vibrante laringe di Elena Alice Fossi, la vocalist dei Kirlian Camera che non a caso nel Cd interpreta il ruolo dell'Anima.
Come anticipato si tratta di una faccenda di gusto personale, evidentemente in contrasto con le scelte stilistiche delle band, che intacca solo superficialmente il giudizio su un disco obiettivamente molto bello, capace di evocare tensioni, piccole scoperte, immagini metafisiche e tante suggestioni dal sapore in qualche modo conosciuto eppure sempre gradevole e indefinibile.
Le citazioni di merito, in tale contesto, non hanno molto senso, ma mi scuseranno lettori e diretti interessati se non posso fare a meno di menzionare le inquietudini della title-track, l’intensità tangibile di “Un volo d'argento” e dell’auto-celebrativa “Quintessenza” e ancora la forza mutevole della fascinosa “La fine del viaggio”, come i momenti maggiormente convincenti del programma, mentre ritengo “Viscere”, un potenzialmente interessante cantiere “aperto” sul fronte contaminazione (con un pizzico di suggestioni grunge e pure la presenza di un cantato al limite del growl, quando è il buon vecchio Satana a conquistare il proscenio!), il tutto al netto delle già manifestate minime perplessità.
I Quintessenza confermano anche nella prova finora più impegnativa della loro storia tutte le loro qualità artistiche, ma sono persuaso che il “meglio” debba ancora venire, magari anche solo accentuando il coordinamento in quel magma di talento, cultura, sensibilità e determinazione che anima con ardente prepotenza la brillante formazione di Volterra.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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