Ombraluce: gioia e … democrazia.

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Gruppo:Ombraluce

Una lunga, esaustiva ed assai piacevole chiacchierata con i torinesi Ombraluce, rappresentati in “forze” da Alessandro Vitale (vocals), Andrea Rosso (guitars) e Sergio Alfredini (bass), ci permette di approfondire l’essenza del loro interessante disco d’esordio (“Distanze Ravvicinate”) e gli obiettivi del loro ambizioso progetto artistico, votato alla sperimentazione “ragionata”, in un processo che non si preclude in pratica nessuna possibilità e modalità espressiva, sottoponendole, però, all’egemonia della “comunicazione efficace”, verbale o esclusivamente sonora.
“Abolire le differenze che ci sono fra musica e vita” … l’intento di un mito del rock italiano come gli Area (con i quali i nostri condividono pure certe attitudini stilistiche), esplicitato nelle parole di Demetrio Stratos, mi sembra, dunque, pur tenendo conto dei diversi contesti storico-artistici, una maniera adatta a definire anche l’impegnativo percorso intrapreso da questi promettenti “emergenti” piemontesi …

Ciao, ragazzi … benvenuti su Metal.it! Nel rispetto delle vostre origini geografiche (che condividiamo …) e quindi della proverbiale “precisione sabauda”, direi di cominciare “dall’inizio” … raccontateci “tutto” su come nascono gli Ombraluce e come mai hanno deciso di chiamarsi in questa fascinosa e “crepuscolare” maniera …
Andrea: Innanzi tutto salutiamo e ringraziamo la redazione di metal.it per l’opportunità che ci dà di far conoscere un po’ di più la musica degli Ombraluce. Questo progetto nasce da anni di continua evoluzione e di continue mutazioni stilistiche che hanno a mano a mano nel tempo forgiato e consolidato le attuali caratteristiche che ci contraddistinguono. Gli Ombraluce sono un punto d’incontro di tanti generi che derivano dai differenti gusti e background musicali di ogni membro del gruppo. Il “collante” è la grande amicizia che negli anni ha fatto sì che trovassimo un compromesso che ci consentisse di coesistere creando qualcosa che in qualche modo piacesse e stimolasse ognuno di noi. Proprio da qui nasce anche il nome che vuole in qualche modo rappresentare la nostra essenza, ovvero elementi di natura diversa, anzi addirittura opposta che coesistono in una sola cosa: OMBRALUCE.
Alex: Il nome “Ombraluce” rispecchia chiaramente l’indubbio gusto che proviamo nell’accostare concetti che stanno normalmente agli antipodi, come traspare anche dal titolo dell’album: “Distanze ravvicinate”. Personalmente, mi piace pensare che il processo creativo che porta alla composizione di un nuovo brano degli Ombraluce sia un po’ come creare un’immagine in chiaroscuro e poi sedere sulla sottile linea che separa l’ombra dalla luce, ed investigare ora l’uno, ora l’altro emisfero.
Passiamo all’analisi dei vs. modelli ispirativi … Area, Banco del Mutuo Soccorso e Premiata Forneria Marconi sul versante nazionale, Yes, Genesis, probabilmente anche l’approccio policromo dei Traffic, su quello internazionale, mi sembrano plausibili riferimenti … è un’impressione corretta? Chi non ho citato che invece meritava un’imprescindibile menzione?

Andrea: Il confronto con questi “mostri sacri” sicuramente ci lusinga. Non ti nascondo che tutti noi abbiamo amato e osannato i grandi nomi che hai citato, ma come ti dicevo siamo una band piuttosto eterogenea e molti spunti arrivano da generi anche diversi dal prog classico. Molto ci hanno dato anche artisti come Queen, Pink Floyd, Quintorigo, Deep Purple, Iron Maiden, Mike Oldfield, Frank Zappa, Jethro Tull, Dave Matthews, Porcupine Tree ... e potrei andare avanti per ore. In realtà, quando componiamo non pensiamo mai ad un riferimento particolare, pensiamo solo a far funzionare il brano. Molto spesso è capitato di scoprire con gran sorpresa che il brano avesse assonanza stilistica con questo o quell’altro artista, tra l’altro spesso riferito a musicisti a noi ancora sconosciuti ... molto interessante! In ogni caso il nostro obiettivo non è quello di essere una brutta copia di qualcuno ma piuttosto di sperimentare per tentare di proporre qualcosa di un po’ diverso da quello che è già stato scritto, pur sapendo che non è cosa facile.
Il vs. background musicale appare, dunque, dall’ascolto di “Distanze Ravvicinate”, piuttosto variegato e “democratico” … come nasce un vs. pezzo e quali sono le “difficoltà” maggiori che incontrate durante la (presumibilmente “vivace” …) fase di “condivisione” compositiva?
Andrea: Il processo creativo degli Ombraluce non ha delle regole precise, ogni brano ha una storia a sé. Ogni elemento della band contribuisce attivamente alla creazione e all’arrangiamento. Alcuni brani nascono interamente dalla mente di uno di noi e poi vengono arrangiati, alcuni nascono dal “cazzeggio” in sala prove, altri arrivano in sala come bozza e vengono reinventati con il contributo di tutti. Così facendo ogni brano ha in sé un pizzico delle caratteristiche di ognuno di noi che si fondono (a volte con difficoltà) nel sound degli Ombraluce. Negli anni ormai abbiamo imparato a conoscerci e a dominare le nostre divergenze artistiche, resta ancora da imparare ad ottimizzare il lavoro di arrangiamento dei brani che spesso superano le decine di versioni differenti.
Alex: Beh, “variegato e democratico” mi pare una definizione più che appropriata. In effetti, credo che la musica, più di qualunque altra forma d’arte, debba essere libera dalle catene del “genere”, del cliché, della “bandierina” che troppo spesso (e troppo frettolosamente) siamo tutti abituati a piazzare su tutto quello che vediamo o sentiamo. Amiamo la bella musica, qualunque sia l’ambiente a cui è comunemente associata, l’estrazione da cui proviene, il genere con cui viene etichettata, e da essa cerchiamo di farci ispirare. Dopodiché, fondere gli elementi è la parte più complessa e più divertente del gioco! Sia che il brano nasca da un’idea appena abbozzata (un motivetto canticchiato, un riff di quattro accordi o un particolare giro di batteria), sia che qualcuno di noi arrivi in sala con un brano completo in ogni suo dettaglio, dopo un po’ di tempo passato a prendere confidenza con il nuovo arrivato (il brano), normalmente arriva il momento in cui si dice: “Ok, bello. Ora, però, facciamolo un po’ più Ombraluce”, e lì, ciascuno di noi ci mette del suo, ognuno secondo la propria inclinazione. Normalmente questa è la fase caotica, quella in cui ci si scanna maggiormente, fino a che, secondo un tacito accordo, interviene chi ha portato l’idea nel gruppo, rivendica la “paternità” del brano, ed inizia a definire alcune linee guida, raccogliendo le idee di tutti.
Alla fine della serata siamo tutti sfiancati dalla “lotta intestina”, ma realmente soddisfatti di quel che ne è uscito ... almeno fino all’incontro successivo! (eh, già... questo processo di “raffinamento”... può durare davvero a lungo!)
Ho apprezzato particolarmente il vs. essere al tempo stesso “intellettuali”, “raffinati” e “popolari” … ci spiegate qual è il vs. concetto di “prog rock”, una musica molto affascinante ma spesso un po’ troppo “narcisistica” ed “elitaria”?
Andrea: Noi non consideriamo importante rientrare in un genere ben definito in quanto crediamo nella libera espressione artistica. Il nostro punto di forza sta nel riuscire a fondere diversi elementi per creare qualcosa che molto spesso differisce da ogni elemento di partenza. In sostanza per noi il prog non è solo una rappresentazione di tecnica e virtuosismo fini a se stessi ma è piuttosto una ricerca di nuove combinazioni e atmosfere a servizio del brano. Il brano per noi è l’elemento centrale e tutti gli sforzi sono mirati ad arricchirlo e abbellirlo senza mai eccedere. Cerchiamo, di fatto, di rendere il virtuosismo piacevole da ascoltare quasi facendolo passare inosservato piuttosto che esaltarlo. Sicuramente abbiamo ancora da lavorare molto, ma i riscontri che abbiamo ottenuto ci incentivano a continuare in questa direzione.
Alex: Io proprio non sono bravo con le definizioni... ho sempre vissuto il “prog” come un immenso spazio dove poter sperimentare le proprie idee, come in una specie di terra di confine in cui le regole ci sono, certo, ma è possibile chiudere un occhio, dove la dimensione sonora non è asservita esclusivamente al fatto di compiacere il pubblico, ma piuttosto dare forma ad un “luogo” dove sia possibile dare libero sfogo alle proprie emozioni.
Le sensazioni che ognuno di noi prova, raramente sono in 4/4, quindi porre a priori dei limiti ritmici e sonori significa limitare, impoverire l’espressività.
Nell’immaginario collettivo, però, spesso il prog viene associato ad un difficile ascolto, ad una musica per pochi, o per gente che “se la tira”. E non a torto! Condivido in parte quest’affermazione, in quanto credo fermamente che, quando i concetti che caratterizzano tale genere vengono estremizzati, esasperati, eretti ad istituzione, allora il prog mostra il suo “lato oscuro”. Questo, ovviamente, non è ciò che noi cerchiamo.
Forse questa non è propriamente una definizione di “progressive rock”, ma è quanto più si avvicina alla nostra idea, alla nostra sensibilità musicale.
Anche i testi hanno una notevole importanza nell’economia della vs. proposta, per la quale avete scelto una “temeraria” soluzione in italiano … l’urgenza comunicativa ha prevalso sul “pericolo” (scongiurato, nel vs. caso …) rappresentato, per difficoltà metriche e rischiosa “intelligibilità”, dalla nostra fantastica lingua?
Alex: Speravo in questa domanda, perché mi offre l’opportunità di spendere qualche parola sui testi come parte del processo creativo.
L’italiano è una lingua stupenda, armoniosa, ricca di vocaboli e che offre una vasta gamma fonetica che può essere usata a vantaggio dell’espressività. L’italiano è una lingua musicale! (anche se alcune sue caratteristiche rendono un po’ difficile la chiusura delle frasi, durante il canto). Più di un amico straniero mi ha detto: «Quando sento parlare qualcuno in italiano, mi sembra sempre che canti!». Infine, ma non meno importante, è il fatto che l’italiano è la nostra lingua! Perché non dovremmo “investirci”?
In fondo, siamo animali abitudinari, quindi troviamo piacevole quel che il nostro orecchio è abituato a sentire, e spiacevole quel che suona a noi inusuale, per cui anche l’ascolto non è un’azione passiva, ma richiede un po’ di allenamento.
Superata quindi la questione di “come” dire le cose, resta un’altra importantissima questione: il “cosa” dire!
Riguardo ai concetti espressi nelle nostre canzoni, ed a quale ruolo abbia il canto (e quindi il testo) nel trasmettere le emozioni di un brano, mi sono interrogato a lungo, giungendo infine a questa conclusione: ritengo che musica e testo ricoprano entrambi un ruolo determinante in ambito musicale.
Questo non significa che debbano necessariamente essere entrambi presenti in ogni brano. Semplicemente, ognuno dei due aspetti deve esserci là, dove possa apportare un reale contributo.
Spesso, nonostante la forma canzone sia la più comune espressione della musica “popolare”, è facile intuire quanto il testo sia asservito alla musica, o addirittura esista al solo scopo di soddisfare la definizione stessa di canzone, anche quando non si abbia realmente nulla da dire.
Ma se a volte le parole sono catene, altre volte invece è la musica stessa che rischia di distogliere l’attenzione dal messaggio che s’intende trasmettere.
In pratica, la mia personale filosofia è: testo e musica, musica solamente, o addirittura testo senza musica, tutte e tre sono valide espressioni artistiche. Ognuna secondo la propria natura, la propria indole. Il testo deve esistere, se c’è qualcosa da dire. La musica deve esistere, se si vuole trasmettere emozione ad un livello più sottile, meno cervellotico. Entrambe devono esistere, quando entrambi gli aspetti siano ritenuti necessari e ciascuno “lavori” a favore dell’altro.
Sono livelli diversi di comunicazione: “entrano” da parti diverse e lasciano impronte diverse.
Il tutto è asservito all’ascolto: c’è musica nelle parole, c’è dialogo nella musica. Nessuna regola predefinita.
Andrea: I grandi del passato ci hanno insegnato che l’italiano è una lingua molto musicale se ben utilizzata. Non è poi così complesso utilizzare l’italiano soprattutto sfruttando tempi dispari che ci consentono di trovare soluzioni metriche tra le più disparate. Noi vogliamo promuovere la nostra lingua perché amiamo la nostra terra e siamo orgogliosi di essere Italiani in contrasto con un (purtroppo) diffuso sentimento esterofilo tipico della popolazione della nostra patria.
Rimanendo sull’argomento mi piacerebbe che approfondiste la vs. visione sul rapporto “idealismo” / “razionalità” che affrontate con acume in “Dualità” …
Alex: Diviso in tre parti, “Dualità” vuole raccontare il conflitto che ognuno di noi ha sperimentato, almeno una volta nella vita: la contrapposizione fra i sogni, i desideri e le speranze da un lato, ed il dovere, il quotidiano, la cruda realtà dall’altro. Svisceriamo quindi i tre atti di “Dualità”:
Parte 1:
La sensazione di disagio si fa strada dentro di noi. Non riusciamo a metterla del tutto a fuoco, non capiamo ancora quale sia realmente il problema. Cresce in noi la sensazione di essere “fuori posto”. Vorremmo correre, muoverci, cambiare gli equilibri. Sappiamo che ogni sistema, in natura, tende al punto più basso, se non viene somministrata energia. I pensieri affollano la nostra mente, ma sono sfocati, confusi, sfuggenti. Conosciamo questo stato d’animo, sappiamo che questo è l’inizio di qualcosa che non si placherà tanto facilmente.
Parte 2:
Il problema comincia a delinearsi, le parti in gioco prendono posizione. Dentro di noi sono vive entrambe le personalità: quella razionale e quella onirica. La prima è molto forte, viviamo immersi nella razionalità, si nutre del quotidiano, che le offre continue conferme: la carriera, la sottomissione, la rassegnazione. Lei sa di essere forte; “Stai nei ranghi” ti dice, “non volare alto, se non vuoi farti troppo male quando cadrai”, all’inizio subdolamente, amichevolmente, poi in tono sempre più perentorio e spudorato.
Parte 3:
L’altra parte di noi sa che l’essere non si nutre solo di materia, ha bisogno di vette e di abissi per evolvere, di slanci da far culminare in iperboli creative, qualunque sia il loro livello. Questa personalità lotta sin dal principio per non essere schiacciata; sa che il suo ruolo è il più difficile, ma sa anche che è importante tenere vivo il “fuoco sotto la cenere”.
Questo brano (nelle sue tre parti) è un incitamento a tenere viva la parte di noi che rende unici.
Sappiamo che in questa lotta non ci saranno vincitori o vinti, che le due parti in gioco si avvicendano continuamente in noi.
Dualità è un inno alla forte dignità che hanno i nostri sogni, per ricordarci, ancora una volta, che la nostra parte sognatrice non deve lasciarsi schiacciare da quella razionale, ma deve poter fiorire per non fare appassire la nostra persona tutta.
Dovendo selezionare un solo brano del vs. disco che sia capace di rappresentarvi al meglio, su quale ricadrebbe la vs. (mi rendo conto difficile) scelta?
Andrea: Dici bene, è una scelta difficilissima, ma se dovessi proprio scegliere, direi Giochi di luce che in qualche modo, pur essendo strumentale, racchiude tutte le nostre essenze e stili riassumendo in parte la musica degli Ombraluce.
Alex: Non lo so. Davvero. Se è pur vero che “Giochi di luce” è il brano che ha avuto contributi dal maggior numero di persone nel gruppo, è altrettanto vero che è difficile definire cosa sia “rappresentativo” quando il passatempo preferito è proprio spostare la prospettiva, il punto di vista. Inoltre, devi considerare che il gruppo ed i suoi componenti evolvono nel tempo, ogni brano è probabilmente la “foto” del momento in cui è stato composto. “Distanze ravvicinate”, nel suo complesso, è l’unica cosa realmente rappresentativa di ciò che siamo!
Questione live shows … aggiornateci sulle prospettive in questo senso e sull’importanza che assegnate a questa particolare modalità espressiva …
Andrea: Veniamo da un lungo periodo passato in studio per la realizzazione di “Distanze Ravvicinate” e il giusto coronamento a questo che per noi è al momento il lavoro più importante e impegnativo della nostra carriera, sarebbe quello di organizzare date per la promozione del disco. Stiamo lavorando per trovare dei contesti adatti alla presentazione dell’album e speriamo di dare notizie in merito al più presto. Purtroppo la realtà musicale contemporanea non dà molto spazio live alle band emergenti e meno ancora a chi propone, come noi, musica originale e che viene dai più considerata non esattamente “orecchiabile”.
Ed ora, in senso generale, cosa bolle nel “pentolone” degli Ombraluce? Magari qualche contatto per un patrocinio discografico di livello?
Andrea: Al momento tutti gli sforzi sono dedicati a promuovere “Distanze ravvicinate” con tutti i mezzi a disposizione e a organizzare qualche live che è la dimensione che un po’ ci manca. Se poi qualche casa discografica si facesse avanti sicuramente vaglieremmo l’opportunità, anche se l’autoproduzione è la situazione che ci si addice di più, per il grado di libertà che concede.
Alex: Anche se il nostro obiettivo a breve termine è quello di promuovere “Distanze Ravvicinate”, in pentola bollono già altri 4-5 brani, per cui non è da escludere che nell’arco di quest’anno si riesca a dar vita ad un EP di brani inediti! Questi nuovi brani hanno raggiunto un maggior grado di maturità, e promettono davvero bene!
Il Festival di Sanremo, con tutta la sua monopolizzante esposizione, è appena terminato … nel caso ci fosse la possibilità, sareste disponibili a partecipare ad un “evento” di questa portata mediatica?
Andrea: Saremmo ben felici di sentire gruppi che come noi propongono una musica italiana diversa dagli stereotipi riconosciuti anche all’estero, su un palco che si vanta di proporre il meglio della musica della nostra penisola. E se fosse possibile accetteremmo volentieri la sfida (anche se temo che la direzione artistica di Sanremo non apprezzerebbe ciò che proponiamo!).
Alex: Siamo già in quel periodo dell’anno?
Scherzo, a parte tutto quel che si può dire di bello e di brutto su Sanremo, sarebbe senza dubbio un’opportunità fantastica, a patto di non dover scendere troppo a compromessi! :-)
La tecnologia e la Rete hanno reso il mondo della musica (e non solo …) più “vicino” e “facile”, determinando, però, probabilmente, un po’ di confusione e una forma di fruizione maggiormente “superficiale” … quali solo le vs. valutazioni in merito?
Alfre: Certo ne è passato di tempo da quando si riavvolgevano le cassette con la penna per non scaricare le batterie del walkman. Oggi qualunque telefonino è in grado di immagazzinare e riprodurre il contenuto di 100 cassette magnetiche ed è sicuramente una rivoluzione. Credo però che dopo un primo momento di ubriacatura data dalle infinite possibilità che ci dà la rete si stia raggiungendo un po’ di equilibrio. Io per primo seleziono bene ciò che carico sui miei supporti digitali. Dall‘altra parte cerco di sfruttare al massimo ciò che ci offre la rete usando soluzioni come le radio online, dove con pochi euro ci si può abbonare ad una fonte inesauribile di musica, scoprendo spesso piacevoli novità. Noi abbiamo cercato di stare al passo con i tempi: abbiamo reso disponibile il nostro lavoro su iTunes, Amazon, Google Music, eMusic, Lastfm, Rhapsody, Napster, Deezer, Spotify e molti altri in tutto il mondo, cosi da poter essere trovati facilmente.
Alex: La rete ha cambiato profondamente il mondo, senza dubbio. Nella fruizione della musica, poi, il cambiamento è stato un vero e proprio stravolgimento! L’elettronica di consumo ha reso l’ascolto “portatile”, ma cosa significa questo?
L’effetto più evidente è che la musica è sempre con te, e questo è stupendo, non hai bisogno di trovare il tempo per ascoltarla, è lei che trova te, in ogni momento, e senza che tu debba neanche decidere a priori cosa vuoi portarti appresso, grazie al fatto che viviamo connessi ad internet. Questa grande libertà ha però il suo prezzo da pagare in termini di qualità dell’ascolto e qualità del prodotto.
La qualità dell’ascolto è inferiore, sia perché la musica assume sempre più un ruolo di “sottofondo” e viene quindi ascoltata distrattamente, sia perché non esiste più il concetto di riproduzione hi-fi. Gli apparecchi di riproduzione, oggigiorno, per quanto costosi, non si occupano più di riprodurre fedelmente l’audio, ma sono completamente tesi a restituire la massima resa possibile da supporti che nativamente sono di qualità inferiore, quali ad esempio gli mp3.
In parte causa ed in parte conseguenza di questo, la produzione odierna si è adeguata agli standard, e la musica viene completamente denaturata, in fase di post-produzione, spingendo all’inverosimile tutte le frequenze per dare una pressione sonora esasperata. Il risultato è che qualunque produzione non subisca questo processo, suona ormai “sgonfia”, e poco appetibile. Non è stato facile, trattandosi di un’autoproduzione, ottenere un impatto che non sfigurasse a paragone di quel che offre il mercato, senza snaturare completamente il sound.
A voi il “microfono” per la conclusione … Grazie della disponibilità e il messaggio ai lettori di Metal.it è …
Alfre: ascoltate tanta musica, diversa e fatevi stupire da nuovi suoni. Vorrei condividere con voi una riflessione letta tempo fa su internet che mi ha incuriosito. Si parlava di questi nuovi movimenti popolari, ad esempio “Occupy Wall Street”, ed il giornalista si stupiva di come le canzoni che li accompagnava fossero vecchi cavalli di battaglia di Joan Baez o altri cantautori del passato, e di come ci fosse uno scollamento con la musica di oggi. Questi autori cantavano il disagio della loro generazione insieme a pittura, fotografia e poesia mostrando una coesione fra tutte le forme di espressione. E oggi??? Autori famosi ricchi di contenuti esistono, Ben Harper ad esempio. Che ruolo ha perso la musica ai giorni nostri? Che cosa è diventata?
Alex: Ciao Marco, e grazie a te per aver dato voce agli Ombraluce. Il mio messaggio per tutti è: tenete sempre la mente aperta, ascoltate tutto quel che vi è possibile ascoltare ... la buona musica non ha bisogno di essere etichettata in questo o quel modo. Cercatela, scovatela, non lasciatevela sfuggire.
Intervista a cura di Marco Aimasso

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