(30 ottobre 2016) Frontiers Metal Festival – 30/10/2016 - Live Club @ Trezzo sull'Adda (MI)

Info

Provincia:MI
Costo:39 €
Lascia o raddoppia? Alla fatidica domanda (mutuata da uno dei più famosi quiz televisivi a della Rai … per gli “alieni” impegnati alla lettura ...) la Frontiers, risponde senza titubanze con questo nuovo Metal Festival, che si va così ad aggiungere a quell’evento straordinario chiamato Rock Festival, arrivando a tranquillizzare chi aveva il dubbio che tali iniziative potessero rivelarsi estemporanee e occasionali.
Sebbene si tratti verosimilmente di un’operazione meno “temeraria” di quella che ha portato alla nascita del suo “fratellino” dedicato al rock melodico, non si può che plaudere ancora una volta le scelte e l’impegno di un’etichetta orgogliosamente italiana capace di svolgere un ruolo davvero importante nell’ambito del panorama musicale internazionale, sempre più confuso e competitivo.
Il risultato è una bella giornata di metallo, abbastanza variegato e molto “nostrano” (a ulteriore testimonianza di una rinnovata attenzione della label partenopea per le eccellenze artistiche autoctone … e ricordiamo che gli show di stasera di DGM e Labyrinth finiranno su DVD di prossima pubblicazione …), che ha visto una buona affluenza di pubblico (parecchi stranieri …) e tutto sommato pochi problemi tecnici (la resa sonora era comunque perfettibile, soprattutto durante le prime esibizioni …), confermando l’elevato livello di professionalità di tutto l’apparato organizzativo.
E poi, al di fuori di ogni altra considerazione “oggettiva”, il Frontiers Metal Festival ha avuto anche il merito di consentirmi di rivedere con grande piacere un paio di vecchi amici, miei e di questa gloriosa webzine, “dispersi” già da qualche tempo e che per l’occasione ritroverete pure nelle dissertazioni specifiche dei singoli gruppi tra qualche riga … per quanto mi riguarda, un altro motivo per essere grati alla Frontiers Music.

Trick or Treat
Mi perdoneranno i (molti) fans della formazione emiliano - romagnola, ma, pur apprezzandoli, i dischi dei Trick or Treat non riescono esattamente a “esaltarmi”, mentre dal vivo le loro canzoni mi sembra acquisiscano una luce più intensa e coinvolgente. Merito di una spiccata disinvoltura e di una naturale vitalità che illumina ulteriormente la forza espressiva e le notevoli dotazioni tecniche di un gruppo che ha nel bravo e simpatico vocalist Alessandro Conti la sua punta di diamante. Il tempo a loro disposizione non è molto, ma i nostri hanno la capacità di entrare immediatamente in sintonia con il pubblico, offrendo un’ottima esibizione complessiva, trascinante e divertente, dove tra una contagiosa “Cloudrider", una possente “The great escape” e la suggestiva enfasi di “United”, trova spazio anche la sempre godibilecover di Cyndi LauperGirls just want to have fun", dedicata, ma guarda un po’, a tutte le fanciulle presenti …

Lords of Black
A poco più di un mese dalla loro esibizione a supporto di Axel Rudy Pell, torno a valutare una prova dal vivo dei Lords of Black e al di là della loro non straordinaria originalità e di tutto il bailamme legato all’ingresso di Ronnie Romero nei “nuovi” Rainbow, non posso esimermi dal fare tanti complimenti alla band iberica per come porta avanti l’immarcescibile storia dell’hard n’ heavy.
Romero è un portento della fonazione modulata, un “figlio legittimo” di Dio (e di Jorn …) capace d’interpretazioni sempre focalizzate, ben assecondato da un ottimo Tony Hernando, preciso e ficcante nei suoi interventi chitarristici.
Volendo trovare il classico “pelo nell’uovo”, potremmo dire che agli spagnoli manca un pizzico di capacità comunicativa e che Ronnie non è esattamente un “trascinatore delle folle” (e vederlo osservare in disparte l’esibizione dei Primal Fear è forse un ulteriore indice del suo carattere poco “esuberante” …), ma quando si hanno in repertorio brani come “Everything you're not”, “New world's comin’”, “Cry no more” e la stupenda “Ghost of you”, si può anche sorvolare su un briciolo di “freddezza empatica”.
Impeccabile, anche se un po’ “gigiona” e non fondamentale, la cover di “Kill the King” …

A cura di Marco Aimasso
DGM
C'era molta attesa per il set dei DGM nell'anno del contratto con la Frontiers, gli ottimi consensi dalla stampa e dal web dopo l'uscita del nuovo "The Passage", il tour che li ha già portati e li vedrà ancora varcare i nostri confini ( dove certamente troveranno platee più vaste), adesso però godiamoceli in casa nostra e lodiamo la scelta di riprendere il live per realizzare il dvd.
Vista la ridotta durata del set, la scaletta è incentrata ovviamente sulla promozione di "The Passage": il frontman Mark Basile si atteggia un po' troppo ma con la voce che si trova se lo può permettere (non dimentichiamo che lo stanno filmando), a fargli da supporto la coppia Simone Mularoni - Emanuele Casali (chitarra e tastiere) , semplicemente mostruosi, niente da invidiare ai più quotati Romeo e Pinnella. Scorre così veloce ed impeccabile la suite "The Secret" e a ruota il tormentone melodic prog power "Animal" dove Basile lascia che il pubblico canti da solo il refrain che tutti conoscono, idem accade nella devastante "Fallen", uno sciabordare straripante di chitarra e tastiere supportato da basso e imponente drumming. Non può non mancare la titletrack e la personalissima "Daydreamer", il brano di "The Passage" che ha portato la band ad un sound più ricercato e personale, c'è anche spazio per un momento sentimentale con il breve lento "Disguise" che vede Basile seduto a bordo palco accompagnato solo dal piano di Casale. Segue l'altra perla di "The Passage": "Ghost of Insanity", in cui Simone Mularoni si occupa della parte cantata in originale da Tom Englund (Evergrey), mentre dal passato più recente ("Momentum") spunta "Reason", il cui impatto dirompente, unito al finale con "Hereafter" chiude alla grande un set impeccabile dove energia, potenza, melodia, complessi intrecci strumentali l'hanno fatta da padrone.
Li conosco da quasi 20 anni , e, malgrado i vari cambi di formazione continuo a dire che i DGM sono la miglior metal band italiana, sempre alla ricerca del miglioramento e dell'evoluzione tecnica e stilistica, per chi c'era e soprattutto per gli assenti ora l'acquisto del dvd è più che d'obbligo.
Ancora complimenti alla Frontiers per aver accolto in scuderia un grande cavallo di razza nostrana.

A cura di Carlo Viano (fa piacere ritrovarti su queste pagine)


Secret Sphere
Ne è passata tanta di acqua sotto i ponti dai loro primo concerto al Mephisto Pub, e dal allora i Secret Sphere ne hanno fatte di cose, album, concerti e tour in giro per il mondo, diversi cambi di formazione, e recentemente anche un DVD, "One Night in Tokyo", che ho acquistato proprio in occasione del Frontiers Metal Festival. Preso prima della loro esibizione qui al Live Club, sulla fiducia, ovviamente ben riposta dato che i Secret Sphere hanno poi dato vita ad un gran bel concerto, iniziando con "Healing", tratta dal primo lavoro con alla voce Michele Luppi e con il grande spolvero l'intera formazione, sia da parte dei membri storici Aldo Lonobile e Andrea Buratto, sia da parte dei musicisti che via via si sono inseriti nella formazione di origine alessandrina, il chitarrista Marco Pastorino (come al solito abile anche al microfono), il tastierista Gabriele Ciaccia, Marco Lazzarini alla batteria e il già citato Luppi, ulteriormente arricchito dalla sua esperienza con i Whitesnake ma che non rinuncia a giogioneggiare tra un brano e l'altro.
Dopo l'opener largo spazio a quel "Portrait of A Dying Heart" che monopolizza (da sottolineare la resa di "Lie to Me" e "Wish & Steadiness") la maggior parte della setlist, sino al momento di "Legend", recuperata dallo storico secondo disco del gruppo "A Time Never Come", dal quale recuperano poi anche la conclusiva "Lady of Silence": due canzoni incise più di quindici anni fa ed ancora attuali oggi. Nel mezzo "Eternity" (ancora da "Portrait of A Dying Heart") e "The Scars That You Can't See" (da "Archetype"), che confermano tutte le capacità esecutive e compositive dei Secret Sphere, che hanno saputo evolversi dal più classico Italian Power Metal (basta andare a riascoltarsi "Mistress of the Shadowlight") ad una proposta musicale sempre più articolata ed elegante. E vincente.

A cura di Sergio Rapetti


Vanden Plas
Lo sparuto gruppetto di presenti del "Legend 54" a Milano 5 anni fa (faccio notare che era il tour di supporto al capolavoro "Seraphic Clockwork" e che era di sabato, per cui non c'erano scuse) è solo un ricordo : al Frontiers Metal Festival i Vanden Plas trovano un'accoglienza da primi della classe, hanno solo un'ora di tempo in cui devono condensare circa 20 anni di carriera e ci riescono alla grande. Dopo l'intro strumentale le danze si aprono con "Vision3 Godmaker", primo estratto dal doppio concept "Netherworld", la prog metal band tedesca è al top della forma (malgrado li si veda poco dalle nostre parti , in Germania trovano anche teatri classici pronti ad ospitarli), e il frontman Andy Kuntz sembra felicemente sorpreso dal calore dei fans tanto da lasciarsi andare più volte al sorriso e alla ricerca del contatto col pubblico, intorno a lui, che lo dico a fare, il mago delle tastiere Gunter Werno e lo strepitoso chitarrista Stephan Lill (la coppia più sottovalutata dell'intero panorama metal), la band si tuffa nel passato con "Into the Sun", poi da "Seraphic Clockwork" arriva l'accoppiata "Frequency" - "Holes in the Sky", ma è con la trascinante "Stone Roses Edge" che tutta la band si esprime al massimo della potenza (incredibile il lavoro finale di Gunter Werno) e strappa applausi scroscianti.
Arriva anche "I Can See" (con "Into the Sun" è quasi un must nei live della band) e si ritorna a "Seraphic Clockwork" con "Final Murder" (Kuntz la presenta dicendo che non la eseguono spesso dal vivo), ennesimo salto nel passato con "The Unforgiven" e poi "Postcard to God" da "Christ0", a questo punto mi aspetto il botto finale con "Rainmaker", ma ottengo l'unica delusione, la band saluta e se ne va, lasciando però tutti soddisfatti.
Ora la speranza è di non dover aspettare altri 5 anni per rivedere una band che da almeno 15 anni si è scrollata di dosso quelle poche influenze theateriane e merita quindi più rispetto e considerazione da chi ascolta prog metal, la serata a Trezzo e l'affetto dei presenti credo abbiano fatto breccia su di loro, per cui speriamo in un ritorno, e stavolta da headliner.

A cura di Carlo Viano (fa piacere ritrovarti su queste pagine)
Labyrinth
Sono passate da pochi minuti le 21 quando il sipario del Frontiers Metal Festival si apre per una delle esibizioni più attese della serata. I Labyrinth hanno infatti scelto il Live Club di Trezzo sull'Adda per iniziare un nuovo capitolo della loro storia, dopo una lunga pausa in cui la band era praticamente scomparsa dalle scene, proponendo dal vivo nella sua interezza l'indimenticabile "Return to Heaven Denied", album seminale per la scena Metal tricolore che ha permesso alla band toscana di essere conosciuta e suonare in tutto il mondo.
Il gruppo coglie l'occasione per presentarsi al pubblico con la nuova line-up, in cui gli inossidabili Andrea Cantarelli e Olaf Thorsen riabbracciano Roberto Tiranti, protagonista di un graditissimo rientro dietro al microfono. La formazione si completa con Oleg Smirnoff, anch'egli lontano dalle luci di un palco da parecchio tempo, Nik Mazzucconi (in passato negli Edge of Forever) ed il leggendario John Macaluso (sono necessarie presentazioni?).
L'esibizione dei Labyrinth dura quasi 90 minuti ed i brani di "Return To Heaven Denied" si susseguono con pochissime pause, riscuotendo un deciso apprezzamento da parte dei fan presenti. L'elevatissimo tasso tecnico della nuova line-up regala una performance precisa e con pochissime sbavature, seppure un po' "freddina", della quale le chitarre di Cantarelli e Thorsen sono probabilmente l'elemento più convincente, capaci di rendere con estrema accuratezza gli intrecci strumentali e gli assoli del disco.
Il concerto si chiude con due grandi classici, "Chapter 1" dallo sfortunato "Sons of Thunder" e l'immancabile "In The Shade", che ci consegnano un gruppo in ottima salute e del quale attendiamo con grande curiosità il nuovo album.

A cura di Marco Pessione (bello riavere anche te, fosse solo per una volta)


Primal Fear
Senza nulla togliere ai gruppi che li hanno preceduti sulle assi del Live Club, tocca ai Primal Fear il compito di interpretare quel "Metal" che si piazza a metà tra "Frontiers" e "Festival". E la partenza all'insegna di "Final Embrace" (sempre superba e spaccaossa) è il modo migliore per farlo.
I Primal Fear sono una formazione che più teutonica non si può, autori di un Power Metal roccioso, spedito e quadrato, come esprimono pezzi del tenore di "Angel in Black" o "Rollercoaster", ma poi ti spiazzano con sprazzi melodici ("Fighting the Darkness") e più strutturati ("Seven Seals" o "When Death Comes Knocking"). Li aiuta sicuramente l'aver tra loro un frontman ed un cantante del tenore di Ralf Scheepers, al quale si possono rivolgere solo complimenti, tanto per come canta quanto per il suo modo di porgersi ai presenti, che rispondono con entusiasmo ai suoi appelli. Ad accompagnarlo oltre all'immancabile Mat Sinner (altra icona della scena Hard & Heavy tedesca) ritroviamo il chitarrista e membro fondatore Tom Naumann, alla chitarra una vecchia conoscenza della band come Alex Beyrodt e infine l'ultimo arrivo (direttamente dagli U.D.O.), il batterista Francesco Jovino, che oltre a mazzulare a destra e a manca si ritaglia pure lo spazio per un assolo di batteria. Tosti come l'equipaggio di un panzer che prende possesso del palco sparando cannonate tipo "Sign of Fear", "Nuclear Fire" o le nuovissime "Angels of Mercy" e "The End Is Near", senza dimenticarsi di una "Chainbreaker" d'annata, risalente al loro omonimo esordio. Non poteva mancare un inno alla fratellanza Metal, ruolo ricoperto ovviamente da "Metal Is Forever" con un ciarliero Scheepers e poteva sembrare la fine del loro show, ma c'è ancora spazio per un paio di episodi, la stupenda e coinvolgente "Fighting the Darkness" e (ancora dal primo album) "Running in the Dust".
Con la loro esibizione al Frontiers Metal Festival ho ritrovato le emozioni che avevo provato la prima volta che ho visto i Primal Fear dal vivo, in occasione del tour di supporto a "Jaws of Death", dato che le loro successive esibizioni mi erano poi apparse un po' di routine, ma stasera Ralf Scheepers e soci hanno soddisfatto il sottoscritto e all'apparenza direi anche la gran parte dei presenti.

Ma è stato tutto il "carrozzone" del Frontiers Metal Festival a convincere e soddisfare.
Al prossimo appuntamento allora.
Setlist:
1. Final Embrace
2. In Metal We Trust
3. Angel In Black
4. Rulebreaker
5. Sign of Fear
6. Seven Seals
7. Angels of Mercy
8. The End Is Near
9. Rollercoaster
10. The Sky Is Burning
11. Nuclear Fire
12. When Death Comes Knocking
13. Chainbreaker
14. Metal Is Forever
Encore:
15. Fighting the Darkness
16. Running In the Dust

A cura di Sergio Rapetti
Report a cura di Sergio 'Ermo' Rapetti

Ultimi commenti dei lettori

Non è ancora stato scritto nessun commento per questo concerto! Vuoi essere il primo?