(28 giugno 2008) Gods of Metal 2008 - II giorno - 28 Giugno (Arena Parco Nord, Bologna)

Info

Provincia:BO
Costo:1 giorno: € 63.25 - 3 giorni: € 103.50
Per vedere tutte le foto scattate da EUTK.net (si ringrazia Sergio Rapetti per il prezioso lavoro svolto) a grandezza naturale clicca QUI.

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Brain Dead (11.30 – 11.50)

La seconda giornata del Gods Of Metal inizia all’insegna del thrash metal dalle influenze dichiaratamente e orgogliosamente old school: sono infatti i nostrani Brain Dead a suonare per primi, presentando un thrash debitore alla scena americana a cui si aggiunge qualche spruzzatina speed.
Il gruppo cerca di trasmettere adrenalina ai pochi che già occupano la zona sottostante il palco, che in risposta non si fanno sentire in maniera troppo partecipe. I pezzi proposti tuttavia non sono esattamente esaltanti, anche se sulla carta presentano tutti gli elementi vincenti per fare breccia nel pubblico: velocità, assoli veloci ma sempre melodici, batteria martellante e un certo senso melodico di fondo.
Manca però quel qualcosa in più, il riff davvero esaltante o la melodia accattivante; il tutto penalizzato inoltre da dei suoni non propriamente ottimali, con il basso a sovrastare tutto ed il suono di chitarra un po’ troppo in sordina.
Una prestazione non brillante ma comunque dignitosa per questo gruppo che comunque non è risultato troppo esaltante alle orecchie di chi ascoltava.

Michele "Coroner" Segata

Stormlord (12 – 12.20)

In quella che è già diventata una fornace alla stregua del giorno precedente salgono sul palco gli Stormlord, reduci dalla recentissima uscita di “Mare Nostrum”, primo album pubblicato dalla label spagnola Locomotive Records.
Nonostante la calura pazzesca e l’altissima posizione in scaletta, rimaniamo stupiti per l’affluenza notevolissima di tanta gente che è già piazzata sotto il palco, pronta ad esaltarsi sulle ultime songs da poco uscite sugli scaffali dei negozi.
Cristiano e soci cominciano la loro esibizione con la stupenda “Legacy Of The Snake; superata qualche piccola difficoltà tecnica con il mixer i sei capitolini promuovono il loro ultimo lavoro al meglio,esibendosi con tutta la grinta e la maturità che li contraddistingue da sempre, confermandosi una delle migliori realtà nostrane che deve sopportare il fatto di suonare nelle ore più calde della giornata con soli 20 minuti di tempo a disposizione, peraltro sfruttato al meglio con tanto di presentazione al pubblico di tutti i componenti.
Si continua con “And The Wind Shall Scream My Name”, altro pezzo mozzafiato del disco e subito dopo non tarda ad arrivare la titletrack, sicuramente uno dei loro apici compositivi, una delle song più epiche mai registrate dagli Stormlord, che purtroppo ci annuncia che il brevissimo tempo a disposizione sta per terminare; peccato perché senza le difficoltà di una bill finalmente molto prestigiosa gli Stormlord avrebbero meritato una posizione più autorevole all’interno del festival.

Francesco "Thrash" Guidarini

The Dillinger Escape Plan (13.15 - 14)

Poco dopo l’una salgono sul palco gli statunitensi The Dillinger Escape Plan, ennesima band estrema scoperta e diffusa dalla Relapse Records, e la gente dopo il semi deserto registrato durante l’esibizione dei connazionali Between the Buried and Me torna in maniera massiccia sotto palco.
Purtroppo il sound è nella media, ovvero un volume un po’ ridotto con suoni non proprio definitissimi, ma è in ogni caso sufficiente ad impressionare i presenti, anche grazie alla stupefacente prestazione della band, che unisce una grande tecnica ad una tenuta di palco da veterani, creando un coinvolgimento notevole del pubblico che premia lo sbattimento dei cinque nonostante il clima torrido. Vengono proposte tra le altre “Black Bubblegum”, “Milk Lizard”, “43% Burnt”, “Sugar Coated Sour”, e “Fix Your Place” tratta dall’ultimo lavoro “Ire Works”, che ha tracciato una svolta più melodica rispetto al passato dei Dillinger. Vista la triste dipartita dei Sikht, gli alfieri di questa branchia del metal estremo sono indubbiamente loro.

Pietro "Sitting Bull" Magalini

At the Gates (14.40 - 15.30)

Quella dei riformati At The Gates è quella che si può definire una esibizione in cui l’unica pecca è stata quella del tempo a disposizione della band svedese.
L’ora dell’esibizione non è certo a favore del gruppo, siamo tra le 14 e le 15 e la calura la fa da padrone su tutto, ma quando parte “Slaughter of the Soul” è subito bolgia! La band è compatta come poche ed il pubblico del Gods accompagna con cori ogni singola composizione degli svedesi. La discografia della band viene percorsa all’incirca in modo completo, si passa dalla vecchia e terremotante “Windows”, passando per “Terminal Spirit Disease”, fino a giungere al momento in cui sugli scudi “Nausea”, “Kingdom Gone” e “Blinded by Fear” che chiude i sessanta minuti del set tra l’acclamazione di un pubblico già provato da un giorno e mezzo di metallo rovente (in tutti i sensi) ma ancora decisamente voglioso di heavy metal e pronto per l’esibizione dei Testament, anche grazie a qualche nuvola ed una leggerissima brezza che rende meno stressante la permanenza nell’Arena Parco Nord di Bologna.

Andrea “Il Corinzio” Angelino

Testament (16.05-17.05)

Mentre delle timide ed innocue nuvolette paiono dare tregua dalla calura insostenibile, salgono sul palco i veterani del thrash Bay Area: ovviamente si tratta di Chuck Billy ed i suoi Testament, per la prima volta in Italia dall’uscita del recente “The Formation Of Damnation”. Per quanto l’ultimo lavoro della band pare sia stato apprezzato praticamente ovunque, gli americani optano per una scaletta nettamente sbilanciata sui classici pezzi del loro immenso repertorio: ad aprire le danze ci pensa “Over The Wall”, seguita a ruota da “Into The Pit”, “Apocalyptic City”, “Practice What You Preach” e “The New Order”. Sotto al palco la ressa è notevole, come la partecipazione del pubblico che tuttavia, probabilmente a causa delle temperature infernali, si limita ad alzare le corna al cielo e a cantare, tralasciando totalmente il pogo. Dopo cinque classici, che hanno sempre trovato spazio nelle setlist degli ultimi concerti italici del gruppo, viene finalmente proposto un estratto dell’ultimo album, l’opener “More Than Meets The Eye” che i presenti dimostrano di gradire, così come la successiva “Henchman’s Ride” che rappresenteranno gli unici brani di “The Formation Of Damnation”. Dal punto di vista meramente tecnico, nulla da eccepire sull’esibizione dei Testament, che comunque ha peccato di qualche imprecisione comunque accettabile. Meno accettabile invece la gestione del suono, con volumi esageratamente bassi e con suoni decisamente impastati, dai quali a fatica emergono le chitarre della coppia Skolnick e Peterson. La voce di Billy è sempre la solita, a cavallo tra voce sporca e simil-growl, anche se il singer è apparso un po’ appannato per quel che concerne la presenza scenica. A chiudere il concerto ci pensano “Alone In The Dark” (trascinata troppo a lungo sul finale) e “Disciples Of The Watch”. In definitiva un concerto buono ma non eccelso, anche a causa di una scaletta poco coraggiosa (le canzoni sono più o meno sempre quelle che la band ripropone da 8 anni a questa parte) e macchiato da dei suoni non all’altezza della situazione.
Sergio (aka Ermo, ndr) dice che sono poser. Concordo.

Michele "Coroner" Segata

I Testament sono di casa qui al Gods Of Metal… Tre fondamentalmente le differenze rispetto alle precedenti edizioni alle quali hanno partecipato: la presenza del mostruoso Paul Bostaph dietro le pelli, un Chuck Billy sempre più grande e grasso (il che dopo i problemi che ha avuto qualche anno fa è però anche sinonimo di buona salute…) e soprattutto il fatto che sono riusciti a terminare la loro esibizione senza tagli di corrente (chi c’era gli altri anni capirà a cosa mi riferisco…). Chi si aspettava una promozione massiccia dell’ultimo “The formation of damnation” è rimasto sicuramente deluso, essendo stati solo due i brani estratti dal cd (“More than meets the eye” e “Henchman’s ride”). La band infatti ha preferito optare per una scaletta piena zeppa di classici, e forse visto che si trattava di uno show in un grande open air non è stata del tutto sbagliata come soluzione. Peccato però che il risultato finale sia stato un po’ inficiato da suoni decisamente bassi e a tratti troppo impastati, soprattutto per quanto riguarda le chitarre di Peterson e Skolnick. Inutile sottolineare che da un punto di vista puramente tecnico l’esibizione della band è stata ineccepibile, e i vecchi fans hanno avuto di che godere con classici del calibro di “Over the wall”, che apre il concerto, “Into the pit”, “The new order” o “Practice what you preach”. Inevitabile il pogo sotto il palco, anche se vista la temperatura infernale non tutti sono riusciti a scatenarsi per tutta la durata dell’esibizione. Ciononostante Chuck e gli altri hanno apprezzato la reazione del pubblico, che da parte sua non si è risparmiato, cantando ogni volta che se ne è presentata l’occasione, come nella parte finale di “Alone in the dark”. Quando il gigante buono annuncia “Disciples of the watch” è chiaro che siamo arrivati alla fine dello show, la gente è soddisfatta e la band ancora di più. Tutto sommato un buon concerto per i Testament, anche se una scaletta leggermente più varia rispetto agli altri show che hanno fatto in Italia negli anni passati non sarebbe stata male…

Roberto "Dulnir" Alfieri

Meshuggah (17.30 – 18.10)

La giornata di sabato 28 giugno 2008 del Gods of Metal prometteva bene sin da quando è stato rivelato il bill al completo e i Meshuggah sono stati un tassello fondametale per rendere unica questa seconda giornata del festival, che già spicca per due ritorni fondamentali, At The Gates e Carcass.
La band schizoide di Umeå si è presentata con 10 minuti di anticipo rispetto all’orario prestabilito irrompendo sul palco con l’energia delirante che li contraddistingue ma anche con qualche piccolo problema tecnico per Thordendal che è apparso inizialmente un po’ stizzito, ma il tutto pare sia stato impeccabilmente risolto dal momento che la loro esibizione è stata, al solito, granitica. Jens Kidman si conferma l’intrattenitore dalla mimica facciale più assurda e soprattutto dalla voce impeccabile, manda il pubblico in delirio ad ogni suo gesto nonostante sia di poche, pochissime parole tra un pezzo e l’altro. La band suona precisa e impeccabile, un Thomas Haake matematico e pulito, pronto sia sui classici che sui nuovi pezzi tratti da “ObZen” come “Bleed”, seconda in scaletta, che scatena i neofiti così come i fan di vecchia data mentre il delirio arriva sui pezzi tratti da “Chaospere” come “New Millenium Cyanide Christ“, che ogni volta mi fa sorridere se penso alla contraddizione tra il tecnicismo e l’ordine matematico del pezzo in contraddizione con il celebre video ironico girato in un camper, per non parlare dell’ineccepibile performance di “Rational Gaze” e dei pezzi tratti da “Destroy Erase Improve” quali “Suffer in Truth” e la conclusiva e devastante “Future Breed Machine” che sancisce, come ben sa chi ha già visto dal vivo i Meshuggah, la conclusione del loro live, arrivata putroppo prima del previsto, unica nota di demerito per i nostri che hanno lasciato gli astanti un po’ con l’amaro in bocca quando hanno realizzato che il live è durato solo 40 minuti a dispetto dell’intera ora che avevano a disposizione.

Paola "Giggle" Suppressa

Carcass (19.00 - 20.15)

Secondo come back per questo secondo giorno del Gods Of Metal 2008, dopo gli At The Gates è il turno dei britannici Carcass a farsi perdonare la lunga assenza dalle scene. Line up dei classici Necroticism e Heartwork, salvo Ken Owen (per ovvi motivi) sostituito da Daniel Erlandsson degli Arch Enemy.Sono le 7 quando parte l’intro parlata, la voce è quella dell’intro di Incarnated Solvent Abuse, il contenuto testimonia la solita attitudine dissacrante di una band che ne ha fatto il suo trademark. Stavolta i nostri se la prendono con il mito religioso della morte di Cristo. Segue l’inconfondibile intro dell’opener di Necroticism e Inpropagation si abbatte sul pubblico in delirio.
Esecuzione ottima nonostante una presenza scenica non troppo convinta. Da lì parte la prima parte del concerto dedicata al periodo death della band, con alternanza di canzoni tratte da Necroticism e Heartwork. Grande trasporto del pubblico sulle ali di una prestazione ineccepibile dal punto di vista dell’esecuzione. La comunicazione con il pubblico è tutt’altro che memorabile, con Jeff Walker che farfuglia frasi incomprensibili, Amott che se la tira come pochi e il solo Bill Steer a fare la parte dell’artista simpatico.
Ma questo non frena l’entusiasmo del pubblico assetato della loro musica, molti di loro hanno aspettato anni ed anni per poter finalmente sentire live canzoni come No Love Lost e Corporal Jigsore Quandary.
Verso la metà del concerto il gruppo inizia a soddisfare anche i fan di vecchia data amanti del marciume che permeava i primi due album con Symphony Of Sickness, la mitica Genital Grinder (perché non usarla come intro del concerto??) e subito dopo Rotten To The Gore. In mezzo l’unica traccia tratta dal controverso Swansong, l’opener Keep On Rotting In The Free World. Non ci sono cali di tensione, almeno fino a questo momento che in cui il gruppo ci fa una sorpresa, chiamando sul palco un Ken Owen irriconoscibile, con evidenti difficoltà a deambulare. Sorpresa gradita al sottoscritto ma non a tutti. Il momento è stato toccante, con Ken, da ottimo batterista a uomo che lotta per tornare ad una vita normale, che in fretta e furia legge un pezzetto di carta in italiano e lancia due bacchette al pubblico.
La sensazione che ho provato era pena, misto tenerezza per un uomo che fieramente non abbandona la sua lotta, e stima per un gruppo che ha rotto la vecchia promessa di tornare a suonare solo con Owen dietro le pelli ma si è portato dietro il compagno sfortunato per fargli avere i suoi meritatissimi 5 minuti di gloria. Alcuni avranno pensato egoisticamente che avrebbero potuto risparmiarselo. D’altronde non è mai piacevole la sensazione di sofferenza che si prova quando si vede una persona in quello stato. Io invece sono fiero di aver fatto scattare nella mia zona il coro “Owen, Owen”, i miti non restano miti solo quando tutto va bene, è quasi dovere testimoniare il nostro affetto a una persona del genere. Finito questo momento toccante a dir poco è il momento del gran finale con Heartwork, paninata da un pezzo di Ruptured In Purulence come intro e di Carneous Caccofiny come outro. Gli astanti vanno in delirio per quella che è probabilmente la loro canzone più conosciuta. Il gruppo saluta tra gli applausi, sperando che sia un arrivederci e non un addio, e sperando che la prossima volta Ken Owen sia in grado di salire sul palco per suonare, avendo vinto la lotta che merita di vincere. Nel frattempo non resta che dire: bentornati Carcass, ci siete mancati. In grind we trust!

Setlist:
Inporpagation
Buried Dreams
Corporal Jigsore Quandary
Carnal Forge
Incarnated Solvent Abuse
No Love Lost
Edge Of Darkness
This Mortal Coil
Embodiment
Symphony Of Sickness
Keep On Rotting In The Free World
Genital Grinder
Rotten To The Gore
Death Certificate
Exhume To Consume
Ruptured In Purulence (intro)
Heartwork
Carneous Caccofiny (outro)


Massimiliano "Maxowar" Barbieri

Slayer (21.05 - 22.30)

Come di consuetudine in questa 3 giorni di Gods, con qualche minuto di anticipo sulla scaletta salgono sul palco i maestri indiscussi del thrash metal più estremo e violento, gli statunitensi Slayer che per l'occasione presentano la line up storica con Araya, Hanneman, King e Lombardo.
Chi segue solitamente la band statunitense sa che le loro performance sono piuttosto lineari, senza eccessivi alti o bassi che possano inficiare l'esibizione di una sera, il surplus dipende dalle condizioni vocali di un Tom Araya che non è più una macchina e a volte, nonostante il carisma e la professionalità, soffre di preoccupanti cali.
Fortunatamente, così come al Gods di 3 anni fa, peraltro sullo stesso palco dell'Arena Parco Nord di Bologna, gli Slayer sono al meglio e sciorinano una prestazione di livello decisamente superiore: si parte con un trittico dei tempi recenti di "Christ Illusion" e "God Hates Us All" (ci sarà spazio anche per le seminuove "Jihad", "Payback", "Eyes of the Insane" e "Supremist"...forse un po' troppe!), per poi lanciarsi in una scaletta davvero valida: i classici ci sono tutti, da "Chemical Warfare", a "War Ensamble", "Die by the Sword" e la sorpresa di "Captor of Sin", che manda il pubblico in visibilio.
Le solite "Dead Skin Mask", "Hell Awaits" e "South of Heaven" lanciano la serata al massimo, la band è precisa come sempre e l'audience risponde alla grande: l'unico difetto degli Slayer di stasera sono gli anni... le pause intercorse puntualmente ogni tre brani fanno scemare il climax del concerto ma è il prezzo da pagare per tenere in vita i nostri quattro eroi e dargli il tempo di riprendere le forze.
La tripletta conclusiva "Raining Blood", "Mandatory Suicide" e l'immancabile "Angel of Death" spengono le luci su questo secondo giorno del Gods 2008, probabilmente quello dalla bill più valida e completa, su cui gli Slayer hanno dimostrato ancora una volta di cavarsela più che egregiamente e di essere, almeno dal vivo, ancora una delle formazioni più incredibili ed affidabili di sempre.

Gianluca "Graz" Grazioli

Setlist

Darkness of Christ
Disciple
Cult
Chemical warfare
Ghosts of war
War ensamble
Jihad
Die by the sword
Spirit in black
Eyes of the insane
Supremist
Payback
Dead skin mask
Hell awaits
Postmortem
Captor of sin
South of heaven
Raining Blood
Mandatory Suicide
Angel of Death
Report a cura di Gianluca 'Graz' Grazioli

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 02 lug 2008 alle 08:12

Carcass, brava gente. Semplicemente immensi.

Inserito il 30 giu 2008 alle 22:10

Uno che suona nei Subliminal Crusher non può essere stupido! Hatewerk sarebbero 30,00€ iva inclusa, grazie :)

Inserito il 30 giu 2008 alle 15:25

Ma dove cacchio eravate? Mi sono girato gli stand 2-3 volte e non ho visto quello di EUTK -.-" La prossima volta mi copro la testa dal sole... P.S. Ma perché Hanneman tirava fuori la lingua alla Gene Simons quando veniva sul bordo del palco? Forse anche lui necessitava di un copricapo.