(30 maggio 2005) System Of A Down + The Eighties Matchbox B-Line Disaster - Filaforum (Milano) 30 maggio 2005

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Prima di iniziare questa recensione è doveroso che io faccia una premessa, perché altrimenti le mie parole potrebbero rischiare di essere fraintese da qualcuno… Devo infatti dire che considero i System Of A Down come una delle formazioni più interessanti dell’intera scena crossover, e che un po’ tutti i loro album sono originali, piacevoli da sentire, bizzarri e soprattutto molto ben fatti… Su disco la band di origine armena (ma californiana di adozione…) è davvero fenomenale, non per niente riesce a coniugare il metal con la velocità dell’hardcore e con la melodia, rendendo orecchiabili anche pezzi che di base sono pesanti e aggressivi. Tra l’altro quest’opinione deve essere condivisa da parecchia gente se la loro unica data italiana era già sold-out lo scorso marzo, ma del resto la sempre crescente popolarità dei System è pure testimoniata dal fatto che hanno un seguito molto eterogeneo, del quale fanno parte anche persone che di solito non ascoltano musica estrema. Insomma, fino ad ora non ho potuto far altro che parlar bene di loro e incensarli in tutte le maniere, ma per essere del tutto obiettiva devo aggiungere che credevo si sarebbero resi protagonisti di un live-show ben più convincente ed entusiasmante.

La serata è iniziata con l’esibizione dei giovanissimi The Eighties Matchbox B-Line Disaster, che per circa mezz’ora hanno avuto la possibilità di presentare il loro (non conosciutissimo) materiale ad un pubblico tutto sommato abbastanza ricettivo, che pare averli apprezzati. La musica di questi ragazzi britannici ha ben poco a che fare con quella dei SOAD, si tratta infatti di un rock molto ruvido e sporco che ogni tanto si fonde con stili diversi: talvolta pare di ascoltare i Cramps, altre volte invece le sonorità si fanno più oscure e virano verso il gothic, ma nel complesso non si può parlare di qualcosa di particolarmente esaltante. Quello che è certo è che un gruppo del genere meriterebbe di essere visto in ben altri contesti, perché ho l’impressione che in un piccolo club si sentirebbe molto più a suo agio, e che renderebbe meglio. Come dicevo la performance non è stata lunga, e poco dopo le 20.30 sul palco è calato il “sipario”, ovverosia un grande telo nero con al centro l’immagine presente sulla cover di “Mezmerize”…

Alle nove in punto gli headliner sono finalmente saliti on stage: sono bastati pochissimi secondi per far scatenare la folla entusiasta, difatti subito dopo l’intro è partita “B.Y.O.B.”, canzone del nuovo cd che (come c’era da aspettarsi) un po’ tutti conoscevano già a memoria e che ho senz’altro apprezzato, ma che mi ha anche fatto venire i primi dubbi… Mentre l’ascoltavo, e soprattutto mentre guardavo quello che il quartetto stava combinando, mi sono chiesta: “Ma dov’è l’adrenalina, dov’è il coinvolgimento, dov’è la voglia di spaccare??” Eh già, perché fin dall’inizio ho capito che l’esibizione non sarebbe stata di quelle “travolgenti”, e che l’energia l’avrebbe trasmessa il pubblico alla band, e non viceversa!!! Ad un concerto di questo genere ci dovrebbe essere uno scambio di emozioni tra chi suona e chi guarda, invece cosa si è visto a Milano? Un gruppo composto da gente in gamba, che (dal punto di vista tecnico) sa svolgere in maniera più che decente il proprio compito, ma che di sicuro non dà l’idea di divertirsi e di essere totalmente presa da ciò che sta facendo. Ad esclusione del bassista, che se non altro pareva abbastanza “felice” mentre suonava, gli altri mi sono sembrati davvero poco coinvolti, se non addirittura apatici. Non capisco come sia possibile cantare pezzi super-veloci (vedi ad esempio “Psycho”, “Cigaro”, “Needles”, “War?” o “Prison song”) standosene buoni e fermi come ha fatto il vocalist Serj Tankian: posso solo pensare che fosse stanchissimo o che avesse qualche problema fisico che gli impediva di scatenarsi un po’, perché altrimenti non so darmi una spiegazione che giustifichi la sua totale immobilità. Stesso dicasi per il chitarrista Daron Malakian, uno che nei video appare come un pazzo furioso che non sta fermo un attimo, e che dal vivo diventa improvvisamente calmissimo! È vero che deve pensare a suonare e cantare, e che fare le due cose insieme non è per niente facile, ma un tantino di più potrebbe anche “sprecarsi”…

Insomma, il punto è questo: la musica dei SOAD, nella quasi totalità dei casi, è quanto di più di dinamico possa esistere, ma dal vivo tale dinamismo viene comunicato solo attraverso le note diffuse nell’aria, e non tramite il movimento e la partecipazione (magari espressa anche sotto forma di dialogo con il pubblico) a ciò che si sta facendo. È chiaro che una cosa del genere mi ha parecchio deluso, ma questo non significa che non abbia trovato nulla di positivo nello show. Bisogna infatti dire che la scaletta proposta è stata molto valida, con una netta prevalenza di song estratte da “Toxicity”. Tra i brani eseguiti ho apprezzato “Deer dance”, “Question!”, “Atwa”, “Sugar” (con il quale si è conclusa l’esibizione), “Mr. Jack”, “Science”, “Forest”, “Suggestions” “Aerials”, “Spiders” e la titletrack dell’album sopracitato, inoltre ho gradito il fatto che il gruppo abbia cercato di “espandere” e variare (rispetto alle versioni originali) alcuni dei pezzi, fatta eccezione per “Chop suey!” che mi sarebbe piaciuto di più se fosse stato proposto in maniera diversa (in pratica mi è sembrato che sia stato fatto di tutto per renderlo “più cantabile” dai fans, e ho trovato tale scelta decisamente degna di biasimo…). Altro particolare che va sottolineato è che la performance si è conclusa dopo un’ora e trentacinque minuti senza che fossero proposti bis, cosa che forse ha lasciato l’amaro in bocca a qualcuno ma che tutto sommato ci poteva anche stare, visto che le canzoni più famose sono state eseguite tutte e che comunque non si è trattato di un concerto breve.

Mi sembra che non ci sia più molto da aggiungere: nel giro di pochi anni i System sono arrivati ad essere un punto di riferimento in ambito alternative metal, ma per diventare davvero grandissimi devono assolutamente cercare di rendere indimenticabili le loro apparizioni dal vivo. Insomma, quello che sto cercando di dire è che alla fine di uno show dei quattro ragazzi di Hollywood lo spettatore dovrebbe andarsene con la voglia di rivederli prestissimo, oltre che con la consapevolezza che ogni loro esibizione è sempre un vero e proprio evento. Per adesso invece si ha solo l’impressione di aver visto qualcosa di “carino” e anche di facilmente dimenticabile, ma ciò non toglie che in futuro la situazione possa cambiare in meglio!

Report a cura di Angela 'Grendel' Benemei

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