(19 settembre 2010) Misfits: il ritorno degli zombie...

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Provincia:RM
Costo:€16
Quella di stasera è stata la dimostrazione di quanto possa essere importante avere un nome, di quelli di culto perfino… è bastato infatti vedere il nome Misfits stampato sui manifesti ed ecco che l’Alpheus si è riempito fino all’inverosimile, tant’è che non ricordo di averlo mai visto così pieno neanche in occasione di gruppi altrettanto storici. La conseguenza è che l’aria era ovviamente irrespirabile, con una temperatura tropicale, e non si riusciva a dare un passo. Molto punk, direte voi… in un certo senso sì, visto che neanche tutto ciò ha fermato un pogo bello violento, dal quale sono uscito dopo una mezz’oretta per assoluta carenza di ossigeno, e stage diving a profusione. Cosa c’è quindi che non è andato per il verso giusto? Beh, la questione del nome innanzitutto… sì ok, sono sempre i Misfits, ma fino a che punto, visto che ormai c’è rimasto il solo Jerry Only a portare avanti la baracca? Certo, è una cosa accaduta a mille altre band, però è altrettanto innegabile che a volte si ha l’impressione di assistere ad un concerto di una tribute band, per quanto di lusso… E se è vero che ormai sono quasi dieci anni che Dez Cadena fa parte della band, e che Robo ha pur sempre registrato il loro secondo album, la sensazione resta la stessa… Ad ogni modo, come si dice, the show must go on, quindi sticazzi dei sofismi e via nel pogo a divertirci per un’oretta e mezza. Perché diciamocelo chiaramente, ad un concerto del genere ci si va essenzialmente per questo, e per riascoltare brani diventati ormai mitici. Come rimanere fermi se ad aprire lo show ci pensa “Halloween”? E se il tutto continua, in ordine sparso, con classici del calibro “Skulls”, “Angelfuck”, “I turned into a martian” o “Astro zombies”? Non è tutto oro quello che luccica, però, perché se è vero che Jerry è il solito trascinatore, e i pezzi a sua disposizione smuoverebbero anche un paralitico, c’è da sottolineare come lo spirito originale dei brani sia stato spesso e volentieri distorto con delle versioni decisamente troppo veloci, con conseguente stravolgimento delle melodie, da sempre punto di forza della band. Incredibilmente, però, nessuno sembra essersene importato più di tanto, forse proprio per lo spirito goliardico di cui parlavo prima. Date le circostanze (leggi gente in ogni dove), come potete immaginare è arduo poter esprimere un giudizio sensato sull’audio, anche se devo dire che era tutto sommato più che sufficiente. Ci tengo invece a sottolineare come l’impressione iniziale che ho avuto, e cioè che la band fosse leggermente scazzata, si è trasformata con lo scorrere dei brani nell’esatto opposto, in quanto tutti e tre i membri, ma in particolare Robo dietro le pelli, hanno dimostrato più volte di divertirsi particolarmente, con risate e sorrisoni a tutta bocca, il tutto, naturalmente, grazie all’accoglienza ricevuta e al fatto che il pubblico nonostante le condizioni disastrose non si sia risparmiato neanche per un secondo. Questa, si sa, è una delle peculiarità del pubblico italiano, capace di risollevare da solo le sorti di uno show che non era partito nel migliore dei modi. Show che, per la cronaca, è andato avanti con altri classici, tra cui “London dungeon”, “Hybrid moments”, “20 eyes”, e che si è chiuso, tra il delirio generale, con la stra nota “Die, die my darling”, che congeda la band, salutata dai presenti con una vera e propria ovazione. Prima di chiudere due ultimissime cose: la prima è un ringraziamento agli organizzatori, 2PieR, e a Marta in particolare, per la disponibilità e la professionalità dimostrate. Mi dispiace di non aver potuto partecipare, per motivi personali, all’aftershow che avevano organizzato, ma ringrazio ugualmente per l’invito. La seconda cosa riguarda la mancanza delle foto in questo articolo. Come vi ho detto le condizioni all’interno dell’Alpheus erano abbastanza critiche, e per la prima volta nella mia umile carriera di scribacchino non sono riuscito a fare delle foto decenti a causa del pogo e degli spintoni ricevuti. Per chi non lo sapesse, mi preme sottolineare che l’Alpheus non ha il pit sotto il palco per i fotografi.
Report a cura di Roberto Alfieri

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