(19 novembre 2009) Glenn Hughes - 20 Novembre 2009 (Stazione Birra, Roma)

Info

Provincia:RM
Costo:€20
E così alla fine finalmente ce l’ho fatta… Erano anni che ora per un motivo ora per un altro non riuscivo mai a vedere Glenn Hughes dal vivo, quindi quando ho scoperto che avrebbe suonato a Stazione Birra questa volta non me lo sono fatto scappare… e meno male, visto che insieme ad altri 2-300 fortunati ho assistito davvero ad un concertone… Ma andiamo con ordine… Arrivo al locale con largo anticipo, quindi ho l’opportunità di guardarmelo per bene visto che era la mia prima volta qui a SB, e devo dire che è uno dei più bei live club della capitale, sicuramente… Il tempo di un paio di birre ed ecco che a salire sul palco sono gli Hush, cover band dei Deep Purple. Un’occasione come quella di stasera non ti capita spesso nella vita, non sempre si riesce ad aprire il concerto di uno dei propri beniamini, ed è per questo che mi sembra strano che gli Hush non abbiano sfruttato al meglio questa serata, dando vita ad un’esibizione abbastanza mediocre, sia dal punto di vista dei singoli componenti (frequenti gli sbagli da parte del chitarrista e del bassista), sia come amalgama generale, con un sound che poco ha a che spartire con le magiche atmosfere dei seventies e con la potenza dell’hard rock. Cinque i brani proposti, dall’immancabile “Highway star” posta in apertura e proposta senza piglio e con poco groove, a “Fireball”, con attaccata “Into the fire” sul finale, come spesso proposta dai DP stessi. Chiudono il concerto “Black night” e una scialba “Speed king”, anch’essa spompata e poco incisiva. Non so se per gli Hush si sia trattato di una serata no, anche se a naso mi sento di poter azzardare che quello di stasera sia il loro standard qualitativo, e, non me ne vogliano, non ci siamo proprio… Le cose cambiano decisamente quando a salire sul palco sono i Moonstone Project, la band di Matt Filippini, che questa sera accompagnerà l’immenso Glenn Hughes. Il sound migliora decisamente, la qualità tecnica anche, e quando i nostri attaccano il riff di “Stormbringer” c’è una specie di boato in sala, con tutti i presenti che accompagnano il singer nel famoso ritornello. Parlare di Glenn Hughes è quasi imbarazzante… Messi da parte gli eccessi di gioventù, da quando Glenn ha trovato Dio (non Ronnie James…) sembra essere tornato indietro negli anni e, paradossale, sembra quasi aver stretto un patto col diavolo. La sua voce è sempre più alta e potente, la usa come meglio crede passando con assurda disinvoltura dagli acuti più lancinanti alle parti più soul e calde. Gioca con il suo basso non limitandosi al semplice accompagnamento, ma la cosa che più mi ha colpito è la vitalità con cui sta sul palco. Sembra davvero un ragazzino che salta a destra e sinistra, e, soprattutto, appare evidente che si sta divertendo davvero. E altrettanto evidente è che questa sera vuol far divertire il pubblico presente, visto che nella scaletta, a parte tre brani, decide di inserire soltanto dei mega classici dei Deep Purple. Dopo “Stormbringer”, infatti, è la volta della splendida “Sail away”, seguita dal primo dei due brani estratti dal repertorio dei Trapeze, “Black cloud” (l’altro sarà “Seafull”, entrambi tratti dall’album “Medusa”). Ma il primo vero pezzo forte della serata è dietro l’angolo, e cioè la classicissima “Mistreated”. Il brano originariamente doveva essere cantato interamente da Hughes, nell’album “Burn” del 1974, ma alla fine la spuntò Coverdale. Beh, sentirla interpretata da Glenn fa venire la pelle d’oca. E come se non bastasse, al termine del pezzo la band abbandona il palco e lascia la scena al singer inglese che per 3-4 minuti ci incanta con dei vocalizzi che di umano hanno ben poco. A questo punto bisogna omaggiare il vecchio amico scomparso Tommy Bolin, ed ecco partire “Gettin’ tighter”, seguita da un ottimo drum solo del talentuoso Alessandro Mori, che a un certo punto si diverte a citare alcuni famosi inizi di brani altrettanto famosi, tra i quali “Moby Dick”, “Painkiller”, “Fireball”. È poi la volta dell’assolo di Hughes e del suo basso pieno di wah-wah, prima della già citata “Seafull” e soprattutto di quel piccolo gioiello che risponde al nome di “Holy man”, veramente poesia pura… In tutto questo abbastanza di rilievo è l’esibizione Alessandro Del Vecchio all’organo Hammond, e di Matt, anche se effettivamente a lungo andare qualche piccola sbavatura viene fuori, ma niente che possa compromettere la riuscita della serata, che prosegue con l’unico estratto del repertorio solita di Hughes, e cioè “Soul mover”. Altro grande classico, “You keep on moving”, in cui si può apprezzare appieno la voce calda e soul di Glenn, seguita da “Might just take your life”, in cui Glenn viene accompagnato dai membri degli Hush. Inutile aggiungere che anche questa volta i nostri non si sono distinti in quanto a coinvolgimento e passione durante l’esecuzione, tanto che lo stesso Glenn sembrava leggermente infastidito. È tutto, la band lascia il palco, ma tutti sanno che manca ancora una perla, tant’è che nessuno si stupisce più di tanto quando i nostri tornano on stage e Matt attacca il riff di “Burn”!! Inutile aggiungere altro, stiamo parlando di uno dei classici del rock, impreziosito, manco a dirlo, da un’interpretazione micidiale di Hughes, che alla veneranda età di 57 anni riesce ancora a stupirci ogni volta che apre bocca. Cos’altro raccontarvi? Poco e niente… se non eravate presenti vi siete persi davvero un concerto coi fiocchi e soprattutto la possibilità di vedere un grandissimo artista, tanto grande quanto onesto e disponibile (si è lasciato andare ai fan in prima fila per tutta la durata dello show). Se eravate presenti, invece, sarete senz’altro tornati a casa più che soddisfatti e con le orecchie ancora sibilanti a causa della splendida voce di Glenn…


SCALETTA:

STORMBRINGER
SAIL AWAY
BLACK CLOUD
MISTREATED
GETTIN’ TIGHTER
DRUM SOLO
BASS SOLO AURICOLARI
SEAFULL
HOLY MAN
SOUL MOVER
YOU KEEP ON MOVING
MIGHT JUST TAKE YOUR LIFE
BURN

Foto di Roberto Alfieri
Report a cura di Roberto Alfieri

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