(08 luglio 2009) Down + Ufomammut @ Colonia Sonora ‘09 – Collegno 08/07/2009

Info

Provincia:TO
Costo:20 €
Prima di tutto un piccolo antefatto … Dopo averli persi al Gods Of Metal, assistere ad un concerto dei Down, una delle prime band a riverniciare d’attualità i suoni dei Black Sabbath e dei Lynyrd Skynyrd, nel momento in cui il cosiddetto stoner rock era alle prese con i suoi “desertici” primordi, era sicuramente (tenendo conto che per di più suonavano praticamente dietro casa mia!) una priorità nell’estate del sottoscritto.
Immaginavo, però, di vivere tale circostanza da “semplice” appassionato e lo scoprire all’ultimo momento (a causa di qualche “difetto di comunicazione” con il mitico Stonerman!) che invece avrei potuto assistere all’evento nelle vesti di “autorevole” writer di Eutk, con tanto di pass photo è stata davvero una bella sorpresa. Quella brutta è stata la decisione della mia vecchia macchina fotografica di “tirare le cuoia” proprio durante la fase d’approntamento, lasciandomi in spiacevoli ambasce. Mi scuso, dunque, con lettori, redazione e organizzazione, se questo report sarà, per forza di cose, privo dell’importante corredo fotografico …
Speriamo di compensare la mancanza con una doppia versione dei “fatti”: quella del sottoscritto, da intendere come il risultato delle impressioni di un estimatore del gruppo obiettivamente non troppo fedele alle loro mosse artistiche più recenti, e quella a firma di Fabrizio Bertogliatti, “l’eminenza grigia” di Eutk in fatto di suoni paludosi, lisergici, caliginosi e ponderosi.
(Marco Aimasso)

L’espressione groove feroce, spietato e magnetico potrebbe sintetizzare efficacemente il contenuto dell’esibizione di stasera dei Down, un gruppo di celebri musicisti, impossibile da scambiare, vista la coesione e l’attitudine ostentata sul palco, per gli accoliti di uno svogliato progetto parallelo di gran lusso.
Phil Anselmo (con il taglio di capelli in pieno modern-mohican style), innanzi tutto, un’autentica belva, rude e indomita, ma anche “simpatica” ed ironica (alterna le tipiche espressioni truci e le sue pose “plastiche”, agli scherzi con i suoi compagni e ad un continuo dialogo col pubblico, che lo incita e lo sostiene continuamente, arrivando a “commuoverlo” – “You make me cry …” – quando questo chiama a gran voce il suo cognome o il suo nome, italianizzato in un apprezzato Filippo …) e poi i suoi soci Pepper Keenan (il sontuoso riffmaker dei Corrosion of Conformity), Kirk Windstein (Crowbar), Rex Brown (Pantera) e Jimmy Bower (Crowbar, Superjoint Ritual, COC ed Eyehategod), a comporre un molosso inarrestabile, artefice di un suono possente, sinistro, nichilista, fortemente “fisico” e orgoglioso, frutto di quella fierezza ombrosa e apparentemente scostante caratteristica, a quanto sembra, degli abitanti del sud degli Stati Uniti, una terra a cui i nostri si sentono particolarmente legati, tanto da citarla spesso nei loro testi, arrivando a dedicare alla natia (il solo Brown è texano, se non erro) Louisiana, non senza un’evidente critica, “New Orleans is a dying whore”, uno dei loro pezzi più intensi, anche di questa serata.
“Lysergik funeral procession”, “Lifer”, “Losing all”, “N.O.D.”, “Eyes of the south”, “Ghosts along the Mississippi” e “Nothing in return (walk away)”, sono gli altri momenti particolarmente vibranti di un modo di fare musica piuttosto tetragono e monolitico, ma maledettamente affascinante e incisivo, soprattutto in una situazione live, dove il “tiro” e l’impatto emotivo si rivelano assolutamente devastanti.
Dopo un ricco programma “normale” c’è ancora tempo per altre due bordate sensoriali: gli encores, introdotti da un coro da “stadio” musicato dai Down e cantato dalla platea, sono l’irresistibile e rabbiosa “Stone the crow” e (anche se alla domanda di Anselmo “What do you wanna hear?” parecchi degli astanti rispondono “Stained glass cross” …) una lunga versione di “Bury me in smoke”, con i roadie coinvolti in una frenetica jam session finale.
In realtà la vera conclusione è riservata all’ennesimo siparietto messo in scena dal nostro Filippo, alle prese con brevi versioni “a cappella” di “Whole lotta love” e “Starway to heaven”, intonate anche da un’audience soddisfatta ed appagata.
Due parole anche sui bravi Ufomammut, che, purtroppo, quando raggiungiamo l’arena è già nel bel mezzo del suo set.
L’ottima band italiana con il suo sound tormentato, distorto e magmatico, tra psichedelia, doom, stoner e space rock, satura l’aria di Collegno con un prepotente apporto d’energia “elettrostatica” e di profonde pulsazioni soniche, creando l’atmosfera “giusta” per il “great southern trendkiller” e la sua banda d’esuberanti e inquieti “selvaggi”.
(Marco Aimasso)

Merita un plauso la manifestazione “Colonia sonora”, patrocinata dal comune di Collegno, primissima cintura torinese. Infatti, da alcuni anni a questa parte, è la sola che offre un po’ di buona musica heavy nell’area del capoluogo piemontese.
Critica invece ai media cittadini che, secondo una tradizione incancrenita, si occupano di questi eventi con troppa superficialità, fornendo spesso notizie incomplete e fuorvianti.
Nell’occasione, quando gli ignari inviati giungono sul posto, scoprono che prima dei Down era prevista l’esibizione dei nostrani Ufomammut. E cosa peggiore, che la band è già sul palco impegnata a suonare.
Comunque si fa in tempo a godere di parte dell’esibizione degli italiani, acclamati veterani della scena heavy-psych internazionale. Schierati come power-trio, gli Ufomammut confermano in modo egregio i loro lunghi percorsi ipnotici e stordenti. Linee di basso super-sature e drumming martellante ma flessibile, creano le basi per i debordanti interventi chitarristici, densi d’effetti acidi e spaziali. Tra violentissime esplosioni ritmiche, improvvise riflessioni lisergiche e, purtroppo, una parte vocale quasi inudibile, si colgono passaggi dell’ottimo album “Snailking” e dell’altrettanto valido ep “Lucifer songs”. La prova intensa, poderosa e monolitica del gruppo, viene salutata con grande calore dal non foltissimo pubblico. Ancora una volta gli Ufomammut si confermano tra i migliori esponenti di questo particolare filone, pur se a mio avviso le loro brillanti caratteristiche emergono con più chiarezza nei lavori in studio che non dal vivo.
I Down si presentano sul palco così come ce li aspettiamo, tosti, rabbiosi e senza fronzoli. Partono subito sparati con “Lysergik funeral procession” e poi pescando dal seminale “Nola” l’accoppiata “Lifer – Losing all”. Si nota chiaramente che il gruppo è carico, motivato, sebbene abbia appena suonato al Gods per un’audience ben più vasta. Piccoli dettagli, sensazioni, che ci mostrano una di quelle band che hanno vero rispetto per il proprio pubblico, in qualsiasi situazione.
Infatti, l’istrionico Anselmo, show nello show, impiega davvero poco a trovare il giusto feeling con la platea torinese, improvvisando buffi siparietti in ogni pausa tra i brani. Anche Pepper Keenan, con un look un po’ freak, non lesina l’energia dei suoi brucianti assoli in “N.O.D.”, “Ghosts along the Mississippi” ed una furibonda “Eye of the south”.
Pochi i brani dall’ultimo, terzo album, forse ancora troppo fresco d’uscita, ma chi apprezza le sfumature “southern” dei Down (presente tra il pubblico, il classico vessillo confederato...) può esaltarsi ad una “New Orleans is a dying whore”, trasformata in paludoso inno di battaglia.
Una cosa evidente, che personalmente mi ha fatto molto piacere, è che oggi l’ex-vocalist dei Pantera ha eliminato gli eccessi e le intemperanze di un tempo. Anche se sfoggia una capigliatura da Mohicano, riesce a sfogare la sua indole distruttiva soltanto nella grinta con cui affronta le canzoni ed in sfrenati headbanging.
Neppure il tempo di riprendere fiato, che i Down si ripresentano per i bis, affidati alla lunga versione di un hit del primo disco, “Stone the crow”, tempestata dai duelli chitarristici tra Keenan e Kirk Windstein, barbuta mente dei Crowbar, ed a “Bury me in smoke”, eseguita in maniera assolutamente devastante, con una coda infinita. Poi, uno per volta, i musicisti cedono gli strumenti ai roadie, che proseguono il pezzo in un’orgia di distorsioni. Col palco pieno di gente, notiamo Keenan che finge di tuffarsi sulla folla, Anselmo sbattersi come un ossesso, gli altri aggirarsi con fare stravolto, mentre il pubblico dedica loro uno degli applausi più lunghi che mi sia capitato di vedere in tanti anni.
Sfruttando un paragone calcistico, i Down hanno dato tutto, onorando la loro maglia. Non saranno mai formazione per palati fini ed esteti vari, ma restano ideali per chi ama l’heavy rock sanguigno, torrido, rugginoso. Nemmeno a luci spente, Anselmo accenna ad andarsene. S’intrattiene ancora con i fans, invitandoli a cantare con lui un paio di storici refrain Zeppeliniani. Finché gli organizzatori sono costretti a mettere il sottofondo sonoro, per cacciarlo dal palco. Davvero un grande Phil!
Down, un gruppo con gli attributi.
(Fabrizio “Stonerman” Bertogliatti)
Report a cura di Marco Aimasso

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 20 lug 2009 alle 16:02

che bravi i nostri "ufomammut" di eutk :D