Copertina 6,5

Info

Genere:Death Metal
Anno di uscita:2007
Durata:45 min.
Etichetta:Relapse
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. INTRO
  2. SILENT OBSERVER
  3. MARCH OF THE CLONES
  4. WASTER
  5. 1000 PROMISES OF PAIN
  6. CARDBOARD GANGSTER
  7. PAST THE POINT
  8. YOU STAND ALONE
  9. ELITIST
  10. ORGANIZED INSANITY
  11. SUICIDE GENE

Line up

  • Joe McGlynn: vocals
  • Alan McFarland: guitars
  • Danny McNab: bass
  • John Lee: drums

Voto medio utenti

Oh ma guarda un po', è la prima volta che mi imbatto in un gruppo estremo proveniente dalla Scozia, regione che deve la sua popolarità a motivi di ordine completamente differente rispetto a questo tipo di genere musicale. I Man Must Die infatti si sono formati cinque anni fa a Glasgow, e hanno già all'attivo un debut album vecchio di tre anni, uscito all'epoca per la Retribute Records, e che aveva già fatto parlare di se. Ora, dopo aver strappato un prestigioso contratto con la Relapse Record (a quanto pare sono stati il primo gruppo del Regno Unito a firmare con questa label), i MMD tornano all'attacco con questo "The Human Condition", che nelle intenzioni del gruppo dovrebbe racchiudere l'essenza degli Slayer mescolata con gli elementi caratteristici del death più violento e moderno. In realtà all'interno delle canzoni troviamo molto di più, con continui rovesciamenti di fronte e attacchi ora in stile primi Deicide, ora presi di peso dalla migliore scena mathcore americana, mentre fanno capolino anche aperture in stile Death del periodo "Human", passaggi melodici che potrebbero richiamare anche gli Amon Amarth corredati da gustosi assoli e diversi riffs dall'aroma del buon tempo andato. E gli Slayer? Si, ci sono anche loro, ad esempio l'inizio di "You Stand Alone" è praticamente un rifacimento dell'intro di "South of Heaven", ma in realtà la presenza di questa componente non è così marcata come il gruppo vorrebbe far credere. Canzoni quali "March Of The Clones", "1000 Promises Of Pain" e "Cardboard Gangster" rappresentano tutto sommato gli episodi migliori del disco, che alla fine si lascia ascoltare più che volentieri. Provate a darci un'ascoltatina, che non si sa mai.
Recensione a cura di Roberto 'Robbyy' Corbatto

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