"
The Story Remains" affermano i
Fairyland ed effettivamente la storia del gruppo transalpino è stata a dir poco movimentata e, consentitemelo, sfortunata.
Dopo lo splendido debutto del 2003 "
Of Wars in Osyrhia", con alla voce
Elisa Martin dei
Dark Moor e passato sottotraccia anche a causa della diffusione pressochè inesistente della allora etichetta Nothing To Say (oggi Replica), la band di Philippe Giordana non si è persa d'animo e ha continuato imperterrita la propria ricerca del sound perfetto, fatto di un symphonic metal, pieno zeppo di orchestrazioni ed arrangiamenti bombastici, che hanno ricalcato nel cuore e nella mente specie ad inizio carriera i primi
Rhapsody, per poi divenire sempre più bombastici e cinematici.
Curiosa la "scelta" di registrare ogni album con un cantante diverso, passando successivamente da
Max Leclercq ai nostrani
Marco Sandron (
Pathosray) prima e
Francesco Cavalieri (
Wind Rose) poi, prima che purtroppo ad ottore 2022 ci lasciasse per sempre proprio il tastierista e deus ex machina Philippe Giordana.
A questo punto rimasto al timone di comando il polistrumentista
Willdric Lievin, assente solo nel secondo disco "
The Fall of an Empire" ed accompagnato unicamente dal batterista
Jean-Baptiste Pol, i nostri hanno assoldato per l'ennesima volta una nuova formazione con i neo entrati
Gideon Ricardo a sostituire lo stesso Giordana, l'altro chitarrista
Brieuc de Groof e soprattutto il quinto cantante in cinque album, ovvero il britannico
Archie Caine e siamo finalmente ai giorni nostri con la pubblicazione di "The Story Remains" per la nostrana
Frontiers, dopo due album su Napalm ed uno su Massacre.
A livello direzionale la mancanza di Giordana non ha influito sul songwriting, la proposta del quintetto è rimasta piantata su un symphonic metal a dir poco barocco e pieno di sovrastrutture, a volte fin troppo "pieno" e con arrangiamenti che talvolta vanno a coprire brani che eccellenti non sono... Intendiamoci, non siamo di fronte ad un brutto disco, tutt'altro ma spesso ci si trova di fronte alla sensazione di trovarsi al cospetto di un "mappazzone" in cui le canzoni, qualora fossero spogliate e rese all'osso, direbbero ben poco.
Qualche brano sopra la media c'è però, e parliamo della lunga suite "
Unbreakable", il mid-tempos
blindguardianesco "
A New Dawn" e soprattutto "
Hopeless Still", che giunto più o meno a metà tracklist è stato il primo a farmi sobbalzare dalla sedia durante l'ascolto, davvero un pezzo indovinato al 100%, personale, malinconico e particolare, che rende merito sia alla band sia all'ugola di Caine e lo stesso si può dire della successiva "
Samsara", rendendo la parte centrale del disco davvero avvincente.
Merita un discorso a parte la decisamente metal (finalmente!) e conclusiva "
Suffering Ages", in cui Lievin e compagni dimostrano che alleggerendo un po' le orchestrazioni avremmo una band classic power metal decisamente in forma e soprattutto che vede il ritorno dietro al microfono di Elisa C. Martin...e non vi posso nascondere che una certa emozione ha pervaso il mio corpo e la mia mente.
Se tutti i brani fossero stati di questa qualità e su queste coordinate avremmo accanto a "
Powertrain" dei
Majestica un altro candidato a disco power metal dell'anno.
Ed
Archie Caine alla voce come se la cava? Diremmo bene, seppure anche lui come molti suoi colleghi farebbe bene a rimanere su registri medio-alti senza andare ad impegnarsi su vette altissime, nelle quali non riesce a tenere il passo ed è costretto a rimanere su timbri esili e nettamente più deboli che non riescono più di tanto ad innalzare l'epicità e la gloria trionfante che invece sono tutto un tripudio di archi, fiati e timpani vari, ma in definitiva la prova può dirsi superata, seppure senza lode.
In definitiva "The Story Remains" è un buon disco, fin troppo lungo, che talvolta pare più una colonna sonora di un film fantasy (vedi la lunga strumentale "
Postscript" che in quasi 9 minuti di durata va a celebrare il passato della band, andando romanticamente a ripescare i themes dei vecchi brani del debutto, forse proprio in onore di Giordana), la ridondante intro "
Downfall" ed altri brani fin troppo prolungati che portano la durata ad impegnativi 65 minuti, ma non privo di diversi spunto all'altezza del nome della band che comunque, seppure in una carriera ricca di difficoltà che dura ormai da quasi 30 anni, non ha mai pubblicato un disco sotto l'ampia sufficienza.
E questo non fa eccezione.
Sempre bravi ed un piacere ritrovarli: Philippe sarebbe fiero di voi.