Sono passati ben quattro anni dal precedente "
In Sanctitate, Benignitatis Non Miseretur!", più i due che il sottoscritto ha impiegato a stendere questa recensione, col cd dei
Deviate Damaen sulla scrivania da praticamente metà 2023 e che potete leggere solamente a 2025 largamente inoltrato...
Me ne scuso, principalmente con la band, ma non è stato facile per il sottoscritto approcciarmi al "
nuovo" "Soqquadro Tanz", con l'aggiunta di un lunghissimo sottotitolo pari a "
Our Danceable, Subversive and Explicit Cumshot Against All Woke Fluffers of Cancel Culture".
Il problema che ho avuto nel rapportarmi con questo album è insito nel titolo stesso: se nel 2019 in sede di recensione descrivevo "In Sanctitate, Benignitatis Non Miseretur!" come "disco più "metal" dei Deviate Damaen e con meno eccessive stravaganze" in "Soqquadro Tanz" siamo agli antipodi: tanz, danceable ed a dir poco bizzarro dall'inizio alla fine, per lunghi e per me difficilmente digeribili 68 minuti pieni di campionamenti, batteria elettronica, ritmi marziali, seppur facilmente conquistanti l'ascoltatore, grazie a melodie coinvolgenti ed un uso dei synth sempre intelligente e che si sposa ottimamente con le chitarre propriamente metal.
Le recenti sfuriate vicine al black metal di "
Font Near the Ossuary" o al doom di "
Tethrus" appaiono ahimè lontanissime, sostituite da brani musicalmente fin troppo basici ed elementari come "Rigira la visiera, dai!", al netto dei testi sempre controversi e sconvenienti che li contraddistinguono sin dagli esordi del lontanissimo 1997 di "
Religious as Our Methods", o addirittura canzoncine di estrazione folk popolari come "
Taranta & scagazza" che sinceramente non sono riuscito minimamente ad apprezzare. Oltre questo, rare digressioni nel metal tout-court come "
Soya Blackster", purtroppo a mio avviso penalizzata da intepretazioni del testo troppo ridanciane e teatrali ed è un peccato perchè musicalmente molto interessante.
Per fortuna c'è anche qualche episodio più in linea avantgarde/gothic che riporta il disco in pieno territorio Deviate Damaen, come "
Shadow of the Night (My "Undead" Aphrodia '92-'22)", l'oscura "
Mirror My Love (Dubstep Reload)" e la pianistica "
Danza di Lava", ma talvolta - anzi troppo spesso - si ripiomba in brani fin troppo bislacchi, dove c'è solo narrazione o rumoristica varia (vedasi "
Narcisiko Emoskambio" o la censurata "
Fuck That "Heavenly" Mask!") che rappresentano per me uno scoglio insuperabile.
"
If You Don't Like It (In Your Mouth)" mi ha ricordato le atmosfere ottantiane dei
Visage di "
Fade to Grey", mentre arriviamo alla doppietta finale di "
No, non cancellerò! - Su "Il lago dei cigni", Pëtr Il'ič Čajkovskij", una sorta di tributo al celebre compositore russo, e la conclusiva "
L'infinito sussurro di foglie cadenti", sentita interpretazione di
Volgar dell'immortale lirica del Leopardi, che nella mia innocenza ed ignoranza mi ha ricordato ad un certo punto un discorso di
Ivo De Palma che interpreta
Pegasus, perso e spaurito in qualcuna delle dodici case dello zodiaco...prima che
Limahl incredibilmente appaia con la sua "
The Neverending Story" per un finale veramente da punto interrogativo quanto almeno rassicurante.
Un'opera sin troppo bizzarra ed astrusa per un rozzo metallaro come il sottoscritto che aveva trovato davvero avvincente il disco precedente, quanto stralunato ed oscuro quello odierno.
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