Copertina 6

Info

Anno di uscita:2021
Durata:44 min.
Etichetta:Coffin & Bolt Records

Tracklist

  1. CLOVEN HOOF
  2. POLAROID
  3. DEATH RAY
  4. GONE DADDY GONE
  5. THE VELVET HAMMER
  6. SNAKE OIL
  7. TIGHTROPE
  8. PINK ROBOTS
  9. SILVERKING
  10. SAN PEDRO WINTER

Line up

  • Dust Chapman: vocals
  • Scott Anderson: guitar
  • Cody Isaman: bass
  • Kristofer Petross: drums

Voto medio utenti

Gli Stone Deaf di New Castle, Colorado, hanno gusti musicali molto chiari e rigorosi: lo stile rock che fa riferimento a Joshua Tree e al Rancho De La Luna, lo studio di registrazione fondato da Fred Drake e Dave Catching ben noto agli appassionati di stoner e desert. Luogo frequentato da artisti del calibro di Josh Homme, Nick Oliveri, Mario Lalli, Chris Goss, Brant Bjork, Alfredo Hernandez ed altri ancora, dove sono stati realizzati dischi cardine dei generi succitati oltre alle stra-famose "Desert sessions".
Questo "((Killers))", terzo full-length della band americana, non è altro che una gigantesca citazione del robotic-rock di Queens of the Stone Age e Fatso Jetson, del post punk'n'roll di Mondo Generator e Eagles of Death Metal, con una spolverata di Masters of Reality e The Hellacopters e vaghi echi Kyussiani. Un vero manuale del primo stoner fine anni '90 inizio 2000, che culmina con quel "Songs for the deaf" dal clamoroso successo internazionale e dal quale i nostri hanno ricavato anche il moniker.
Dunque un diluvio di riff aspri ed ipnotici ripetuti in maniera incalzante, ritmiche mid ed up tempo precise ed implacabili, melodie energiche e nervose ma molto orecchiabili (in qualche frangente mi sono venuti in mente i The Clash), il tutto incartato nella tipica atmosfera arida e polverosa del deserto californiano. Tutto bene, se non fosse che per lunghi momenti pare di ascoltare una cover-band dei QotSA. Un brano come "Polaroid" non è brutto in sè, semplicemente pare clonato. Perfino nel picchiettio del piano in sottofondo, nei coretti e nell'andamento da groove post-sbronza.
Oppure, una "Death ray" possiede l'attitudine da rockers caciaroni che abbiamo ben presente negli EoDM della coppia Hughes/Homme, con tanto di ritornello piacione da radio rock Fm.
"Gone daddy gone" è un episodio hard-pop-punk che farebbe la gioia degli Hellacopters, mentre "Silverking" appare robotica fino al midollo tanto da sembrare un out-take di "Toasted".
Tutte canzoni risolte nei canonici tre-quattro minuti, essenziali e prive di svolazzi, ma c'è anche posto per gli otto minuti della conclusiva "San Pedro winter" che rispolvera le dilatazioni sospese tra aggressività heavy e stordimento fumoso dei tempi d'oro Kyuss-iani.
Album anche fatto bene, ma di personalità davvero a livelli minimi. Ascoltandolo attentamente sembra quasi un tributo ad uno specifico filone rock, perlomeno alle sue origini. Mi sento di consigliarlo soltanto a chi è rimasto deluso degli ultimi lavori QotSA e vuole tornare ad immergersi nelle emozioni del periodo "R".

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