Copertina 7

Info

Genere:Black Metal
Anno di uscita:2020
Durata:22 min.
Etichetta:Talheim Records

Tracklist

  1. GOMORRAH
  2. INNER TEMPLE
  3. THE ART OF DESTRUCTION
  4. I (MEDITATION 666)
  5. R.I.P

Line up

  • Baphomet Van Northorn: vocals, guitars, drum programming, bass
  • Vinz: bass
  • Diabolica: guitars

Voto medio utenti

Quella dei Northorn è una storia fatta di uscite autoprodotte praticamente introvabili, pubblicazioni su etichette microscopiche altrettanto introvabili, e di tanta dedizione al metal estremo.
Del resto, provenire dall'Indonesia e suonare una sorta di mix tra depressive black metal e doom molto oppressivo non deve essere una cosa tanto facile, tanto è vero che il gruppo, in verità il progetto solista di Baphomet Van Northorn, solo di recente attorniato da una vera band, riesce a rilasciare "The Art Of Destruction" solo a maggio dello scorso anno riprendendo un EP, omonimo ma con soli tre brani, di tre anni prima, e riesce a farselo distribuire in Europa solo nel 2021... insomma una "bella" storia di puro culto underground che, per una volta, risulta anche musicalmente convincente dato che questo lavoro è realmente interessante e, soprattutto, molto particolare per il suo essere distante da facili paragoni con questa o quell'altra band.
La cosa che emerge con più evidenza dalle note di questi cinque brani è un senso di morte e depressione veicolato, abilmente, attraverso brani lenti, sulfurei, funerei e con un occhio rivolto al passato tanto è vero che i Northorn non disdegnano, soprattutto nei momenti più veloci, incursioni in territori thrash, di scuola Sodom, che concorrono a dare dinamismo ad una proposta decadente e sofferente come è difficilmente riscontrabile in nomi ben più famosi di quello dei nostri.
"The Art Of Destruction", dunque, è un ascolto ricco di negatività, pieno di lacerante dolore che traspira dalle sue note cadenzata, sia che il gruppo ci sorprenda con tormentati arpeggi o con riffing letale, sia che, invece, lasci fluire attraverso i brani il gelo del Nord (quello dei primissimi Immortal soprattutto) o dia sfogo all'introspezione delle partiture più intime che, come una sorta di ombra, accompagnano ed avvolgono un suono "antico", capace di portarti indietro nel tempo di diversi decenni, e scevro da qualunque inutile orpello.
Insomma, nella sua lancinante semplicità, a me questo dischetto è piaciuto molto e, se anche voi siete nostalgici di un certo modo di suonare estremi, difficilmente ne resterete delusi.
Anche in Indonesia arde la fiamma.
Recensione a cura di Beppe 'dopecity' Caldarone

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