Copertina 7

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2021
Durata:52 min.
Etichetta:Nuclear Blast Records

Tracklist

  1. ZOMBIE APOCALYPSE
  2. TOO MEAN TO DIE
  3. OVERNIGHT SENSATION
  4. NO ONES MASTER
  5. THE UNDERTAKER
  6. SUCKS TO BE YOU
  7. SYMPHONY OF PAIN
  8. THE BEST IS YET TO COME
  9. HOW DO WE SLEEP
  10. NOT MY PROBLEM
  11. SAMSON AND DELILAH

Line up

  • Mark Tornillo: vocals
  • Wolf Hoffmann: lead guitars
  • Philip Shouse: lead guitar
  • Uwe Lulis: rhythm guitar
  • Martin Motnik: bass
  • Christopher Williams: drums

Voto medio utenti

Era fisiologico, dopo una serie di album, uno più bello dell'altro, una piccola flessione era davvero inevitabile.
Diciamolo subito, non che il loro sedicesimo full length (se ho contato bene) sia un fiasco, ma a differenza di "Stalingrad" o "The Rise of Chaos" non mi ha colpito al primo ascolto, e purtroppo nemmeno al secondo, confermando sì tutte le qualità degli Accept, ma allo stesso tempo lasciando uno vago retrogusto di già sentito e di ordinario. Proprio la stessa sensazione che mi aveva colpito in occasione del singolo "The Undertaker", molto di maniera e con pochi sussulti, e quindi sono arrivato all'ascolto di "Too Mean to Die" preparato e forse anche un po' prevenuto.
Non credo questo possa essere correlato alla sola fuoriuscita di Peter Baltes dal gruppo, anche perchè Wolf Hoffmann - ormai unico membro originale - in questa seconda fase di carriera degli Accept è sempre stato il padre/padrone della band, ma è più probabile che sia semplicemente dovuto ad un piccolo calo di ispirazione.

Detto questo, in apertura ecco una "Zombie Apocalypse" che si avvia cupa e ringhiosa, lasciando presagire un massacro, tuttavia gli zombie per si trascinano lungo questa canzone non sono quelli di Romero, ma il risultato di una generazione che sconnessa non sembra più saper vivere, mentre musicalmente siamo di fronte al solito brano quadrato degli Accept, solo un po' più anonimo di tanti altri. Ecco quindi la titletrack che mostra una maggior verve, accompagnata da un guitarwork da paura, tanto da far correre "fast and furious" lo stesso Tornillo. Nemmeno il tempo di prendere il ritmo che gli Accept tolgono il piede dall'acceleratore ed eccoli che con "Overnight Sensation" si buttano sull'immancabile mid-tempo, con quel feeling ottantiano che mi fa ripensare agli AC/DC ma anche ai Twisted Sister, dove è ancora l'ugola ruvida di Tornillo a menare le danze. "No Ones Master" è un’altra canzone nel più classico stile degli Accept, una di quelle che lascia maggiormente il segno, granitica, con le chitarre affilate e in grado di dare una marcata impronta melodica ma anche di sfidarsi in assoli torcibudella. Un senso di soddisfazione che si scioglie in occasione della già citata "The Undertaker" che, pur con quel suo ritmare inquietante, si perde poi in soluzioni corali davvero scontate, ed anche l'assolo classichegiante non è che sia particolarmente fantasioso ed avvincente, con la seguente "Sucks to Be You" a seguirla a ruota nell'anonimato nei meandri della loro sterminata discografia. Meno male che "Symphony of Pain" lascia intravedere evidenti segni di ripresa, con un guitarwork incisivo e ben assecondato dalla ritmica, e con Hoffmann che nell'assolo dà conferma tanto della sua bravura quanto della sua passione per la Musica Classica, con un omaggio, anche nel testo, a Ludwig van Beethoven... beh, in realtà ce lo aspettavamo già, era solo da capire dove e quando lo avrebbe fatto.
L'altra domanda lì sospesa nell'aria, era: "quando tocca alla ballad?". Ecco la risposta "The Best Is Yet to Come", e se la domanda successiva poteva essere: "spacca di brutto?", mah... direi che al più fa battere il piedino, e solo per poche battute, poi scivola via senza colpo ferire. Riecco i migliori Accept con la heavy "How Do We Sleep" e con "Not My Problem", un pezzo da vecchi rocker dove, come già avvenuto in passato, i nostri sembrano essere contagiati dal virus AC/DC. Il disco si chiude infine sulle arie orientaleggianti di "Samson and Delilah", una traccia strumentale dove è nuovamente la passione per la Musica Classica (nel caso Antonin Dvorak) a farla da padrone.

Niente da dire, fosse stato inciso da una delle tante newcomer band che si rifanno al Metal Classico, "Too Mean to Die" avrebbe fatto gridare al miracolo, ma contestualizzato al valore degli Accept, non va oltre allo status del "solo un disco discreto".



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Recensione a cura di Sergio 'Ermo' Rapetti

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