Copertina 8

Info

Genere:Black Metal
Anno di uscita:2021
Durata:46 min.
Etichetta:Independent

Tracklist

  1. SULCUS PRIMIGENIUS / UNDER THE SIGN OF THE EAGLE
  2. SI VIS PACEM, PARA BELLUM
  3. I, THE EAGLE, THE STRENGTH, THE POWER
  4. THE GALENUS PLAGUE
  5. UNDER A TREACHEROUS DOMAIN
  6. ATTILA FLAGELLUM DEI
  7. AQUILEIA MATER AETERNA

Line up

  • Manuel Scapinello Guitars
  • Stefano Declich Vocals
  • Giulia Zuliani Drums
  • Luca Franzin Bass
  • Francesco Nobile Guitars

Voto medio utenti

Giungono al full-length i friulani Gates of Doom e lo fanno autoproducendosi la nuova fatica così come avevano fatto con i due precedenti EP. I nostri ci propongono una miscela piuttosto personale e ben congegnata di black e death metal, riuscendo ad infondere una spiccata vena epica al proprio sound grazie soprattutto ad un uso sapiente di linee melodiche mai melense ed anzi assolutamente congeniali ad enfatizzare il pathos "guerriero" che i brani del lotto trasmettono all'ascoltatore. Del resto tutto il concept di "Aquileia Mater Aeterna" gira attorno alla storia gloriosa della città di Aquileia, fondamentale snodo militare e commerciale già nella Roma repubblicana del II a.C.: l'epicità che emana dalla proposta dei nostri è certamente battagliera ma anche caratterizzata da pregevoli linee melodiche di lead guitar che permettono, così come alcuni gustosi arpeggi puliti, di apprezzare il lato meno violento e più nostalgico del sound proposto dai friulani. Potremmo definirla, se ci è concesso, un'epicità "gladiatoria": non tanto per le tematiche legate alla storia romana quanto per un approccio al black metal meno freddo rispetto a quello nord europeo; un approccio, cioè, che predilige una certa marzialità che ben evoca scenari storico-geografici più affini a quelli di appartenenza della band.
Potreste avere l'impressione che nel sound dei nostri sia stata ben assimilata la lezione dei greci Rotting Christ e del loro particolarissimo black metal "à la mediterranea" che, se perde qualcosa in gelo e misantropia, guadagna sicuramente in mistero ed introspezione. Così è infatti anche per i Gates of Doom che riescono - in modo originale e con una sensibilità da non sottovalutare - a portare al nostro cospetto uno spaccato del retaggio storico friulano, sospeso a metà tra il calore mediterraneo della civiltà Romana e la fiera selvatichezza delle origini celtiche.
In certi passaggi più rocciosi e ritmati si potrebbe avvertire nell'impasto sonoro dei Gates of Doom qualche riferimento al death melodico dei migliori Amon Amarth, a ulteriore riprova di un sound - così come la narrazione tematica - capace di generare una sintesi sorprendentemente naturale tra i retaggi del Nord e del Sud dell'Europa.
Non si tratta però di una mera prova di stile e di capacità di piegare i propri riferimenti sonori per generare l'atmosfera desiderata: la vera forza dei sette brani di cui si sostanzia il lotto qui in esame è quella di essere composta in prima battuta da riffacci in tremolo trascinanti e capaci di stamparsi in testa in modo pressoché immediato, fungendo da solide fondamenta su cui si innestano - oltre a un apprezzabilissimo e sempre fomentante blast beat - sezioni più melodiche, cambi di tempo finanche assoli che non fanno altro che conferire maggior struttura, succosità e personalità ai brani. Certi riff sarebbero già ben più che sufficienti a far stare in piedi in modo convincente i brani in cui sono inseriti ma grazie ad un songwriting ottimale risultano ulteriormente esaltati venendo inseriti sempre nel modo più gasante ed efficace possibile. Non si tratta certamente di composizioni particolarmente elaborate o complesse ma sfido chiunque a non entusiasmarsi per certi riff presenti nel presente album soprattutto quando inseriti in modo scientemente concepito per farli risaltare al massimo grado.
Vi ho già detto quanto certe sovrapposizioni di lead guitar impreziosiscano ulteriormente un già ottimo prodotto per cui mi limito a concludere la mia analisi notando come non solo una voce più profonda e growl oriented aiuti a conferire al disco la magniloquenza che lo caratterizza ma pure le linee vocali sono ottime e spesso quasi cantabili, in particolare in certi ritornelli.
Non mancano qualche ingenuità e alcune leggere sbavature a livello di performance vocale e di produzione ma, alla luce di un prodotto così genuino, ispirato, ben congegnato e - in fin dei conti - ottimamente riuscito, mettere un voto inferiore a quello che vedete qui a lato sarebbe ingeneroso ed esageratamente penalizzante. Sono sempre stato dell'idea che sia preferibile un ottimo disco senza una produzione stellare che un lavoro confezionato con perizia estrema ma privo di sostanza. Inoltre, qui, le leggere ingenuità a cui mi riferivo poco sopra non penalizzano la riuscita e l'efficacia complessive del lavoro.
Lavoro più che consigliato che continuo ad ascoltare dal giorno che è uscito e che non sembra avere intenzione di eclissarsi nel dimenticatoio a breve. Chissà che non possa essere già un osservato speciale per le liste di fine anno.

P.S.: è un'autoproduzione per cui, se vi piace, avete anche un motivo ulteriore per supportare la band!
Recensione a cura di Giacomo Babuin

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