Dopo una prima metà di 2020 molto complicata a livello personale per i molti impegni accavallatisi finalmente sono ritornato a scrivere per la gloria e lo faccio cogliendo al volo l'occasione di recensire un grande album, uscito nel mese di maggio, che mi ha accompagnato negli ascolti dalla sua uscita e che ancora non era stato inserito nel nostro database. Vi dico la verità: ho continuato a sperare che gli esperti colleghi
Dope e
Kalhyma non recensissero questo disco così da poter tornare a scrivere su queste pagine parlando di un lavoro notevole, anzi, a mio modo di vedere uno dei migliori in ambito black metal usciti finora quest'anno.
Si tratta di un album di black metal dalle tinte piuttosto emotive che ammalia l'ascoltatore soprattutto per la capacità di intrappolarlo fra le trame malinconiche e disperate disegnate dalle melodie delle chitarre. L'aspetto ulteriormente positivo è che non solo la produzione è bella tagliente e genuina come dovrebbe essere ma, oltre alla grande carica emozionale che il disco sa sprigionare, ci troviamo di fronte ad un disco che non sa dire di no alla violenza e inserisce frenetiche ed annichilenti fughe in blast beat proprio nei momenti più adatti ad esaltare il pathos di ogni pezzo.
L'equilibrio compositivo del disco rende possibile un accordo assolutamente funzionale all'esaltazione di tutti gli elementi dei nostri: i riff, sostenuti da doppia cassa o blast beat, sono sempre capaci di far scaturire melodie e atmosfere che sapranno stamparvisi in mente nel giro di pochi ascolti; i frequenti cambi di tempo e di tema sono sempre ben congegnati per costituire in ogni pezzo una narrazione coerente ed avvincente; gli arpeggi acustici sono sempre di grandissimo gusto e si inseriscono come parte integrante del sound malinconico dei nostri.
Non siamo certo di fronte ad un songwriting arzigogolato o che tenta di stupire l'ascoltatore con inutili pindarismi: qui si va dritti a ciò che serve, arricchendo il songwriting solo in modo funzionale alla resa del pezzo. A tutto ciò si aggiunge una produzione
corretta, una produzione, cioè, che sa rendere giustizia alle composizioni facendo respirare all'ascoltatore l'aria che si dovrebbe respirare - e a pieni polmoni - quando si ascolta un disco black metal. Non mi voglio dilungare sulla descrizione dei suoni. Chi conosce il black metal sa bene che cosa si intende per "produzione corretta": non vuol dire una produzione uniformata a tutti i dischi in uscita, anzi, ma il saper far trapelare una certa attitudine, una certa personalità attraverso suoni veraci, taglienti, che sanno farti male e dallo specifico modo mediante il quale il suono di un disco ti fa male resti ferito in un modo che ti spinge a premere di nuovo play in modo che la ferita non si rimargini mai.
La nuova fatica di Afsky è proprio questo: un lavoro che sa santificare la ferita, che non la rimargina ma che la onora tenendola aperta, facendo del buco sulla carne il motivo del godimento. Si tratta di un disco con il quale crogiolarsi nella propria solitudine, un disco che accompagna il
disgusto nei confronti del mondo, un disco che non consola dalla delusione a cui la vita ci espone ma prende invece l'abisso come tale e lo eleva ad inarrivabile vetta.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?