Copertina 6

Info

Genere:Black Metal
Anno di uscita:2020
Durata:65 min.
Etichetta:Nihilistische KlangKunst

Tracklist

  1. ASYLUM
  2. WATCHERS
  3. GHOST
  4. NOMAD
  5. ARISE
  6. WILDERNESS
  7. A PROMISE OF DARKNESS
  8. ARCANE GESTALTS
  9. OUR SEED

Line up

  • Arges: bass, synth
  • Neideck: guitars, drums, vocals

Voto medio utenti

Non c’è trucco non c’è inganno coi The Last Seed. I quali, in occasione del secondo full length, decidono di giocare a carte scoperte, spiattellando la sostanziale continuità col debutHellboy” sin dall’artwork di copertina.
Il resto non può che accodarsi: il black del duo di Norimberga ha mantenuto il proprio carattere grezzo, ripetitivo e minimale, ma non privo di sporadiche intuizioni melodiche e di un generale respiro epicheggiante.
Esecuzione ed arrangiamenti, dal canto loro, si mantengono ai minimi termini, così come turpi ed acri rimangono i suoni -sebbene, a questo giro, sia stata accordata maggior considerazione a vocals e mastering-.

Purtroppo, i Nostri si sono dimostrati costanti anche nei difetti, che individuerei principalmente nell’incessante alternanza tra buoni spunti e scelte infelici e nell’incapacità di mantenere alto il livello dell’attenzione lungo tutta la durata del platter.
A mio umile avviso, se si propongono sonorità di questo tipo, costituisce già di per sé errore concettuale dilungarsi per oltre un’ora; ciò è a maggior ragione vero laddove, come nel caso di specie, tale ragguardevole durata venga raggiunta annacquando i brani con partiture ripetute all’eccesso.
Peggiorano ancor più lo scenario le numerose parentesi atmosferiche simil-ambient, peraltro accatastate stolidamente in coda a brani che avrebbero giovato di maggior snellezza.

Peccato, perché quando i The Last Seed eludono le ingenuità dimostrano di saperci fare: posate l’orecchio sul feeling occulto di “Arise”, il cui incipit mi ha ricordato gli australiani Moon, o la glaciale frenesia di “Watchers”, sulla quale aleggia lo spettro dei connazionali Nargaroth, e capirete che il potenziale per far bene non manchi.
Revenant”, per chi scrive, rimane comunque opera sufficiente e nulla più.
Sui The Last Seed, invece, non me la sento di sbilanciarmi in modo lapidario: di certo non diverranno mai capofila del movimento estremo, ma mi piace pensare che una nicchia underground possano ricavarsela, e che il meglio debba ancora arrivare.
Attendiamo fiduciosi il famigerato spartiacque del terzo album.
Recensione a cura di Marco Cafo Caforio

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