Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2020
Durata:52 min.
Etichetta:Lifeforce Records

Tracklist

  1. BLOOD OF THE BOOK
  2. THE WEEDS I HAVE TENDED
  3. SHOT THROUGH WITH SUNLIGHT
  4. TO THOSE WE'VE SAID GOODBYE
  5. BLOODLETTING
  6. SOUTH TO INFINITY
  7. APART
  8. GHOST STORY
  9. STILL

Line up

  • Miguel Meza: vocals
  • Isaac Rigler: guitar
  • Forrest Harvey: guitar
  • Clayton Bartholomew: bass
  • Patrick Spain: drums

Voto medio utenti

Il moderno post-metal è un genere che talvolta può risultare estremamente affascinante e coinvolgente a livello emozionale, in altri casi tende a diventare più ridondante e prolisso, autocelebrativo, come accadeva ad esempio con il progressive-rock settantiano. Certamente si tratta di sensazioni individuali, di gusti personali, ma è indubbio che certe alchimie stilistiche debbano essere equilibrate per risultare pienamente gratificanti. Altrimenti si rischia di apparire troppo pensosi, intimisti e tediosi alla maggioranza degli ascoltatori.
Secondo me i Mountaineer di Oakland, California, appartengono alla seconda categoria. Nati nel 2015, hanno all'attivo due album ("Sirens and slumber" del 2017 e "Passages" del 2018) ed ora presentano questo terzo capitolo "Bloodletting" sempre per Lifeforce Records.
Un disco molto debitore a Neurosis e Isis, ma con un profilo melodico-malinconico più accentuato. I brani sono tendenzialmente lunghi, anche troppo, con ampie parti atmosferiche meste e sofferte che esprimono un forte travaglio interiore ammesso dalla band stessa. Una visione cupa e dolorosa dell'esistenza, dove la speranza è una meta irrangiungibile e conta soltanto l'oscurità malinconica che ci avvolge come un sudario penitenziale. Una costante, in gran parte del post-metal contemporaneo.
Però i Mountaineer eccedono nel costrutto diluendo le loro canzoni in percorsi tortuosi ed estenuanti, che in qualche caso funzionano anche bene ("Blood of the book","South to infinity") per struttura sonora ed intensità atmosferica, in altri si trasformano in viaggi lenti, trascinati, avvolti in loro stessi, rendendo l'ascolto una pura questione di passione e di fede ("To those we've said goodbye","Ghost story"). Gli statunitensi hanno senz'altro buone capacità, passaggi liquidi ed impennate esplosive, il vocalist Miguel Meza regge bene sia durante i momenti riflessivi che nelle porzioni metalliche potenti d'impatto, la parte strumentale è impeccabile, però c'è questo desiderio di strafare, di impressionare con la quantità, che limita la fluidità e la brillantezza del lavoro.
Disco in chiaroscuro, che per certi versi convince per altri delude. Se i californiani riusciranno in futuro ad essere più concisi, diretti, meno interiorizzati e cervellotici, potranno diventare una ottima band nell'ambito del genere.

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