Prosegue il viaggio di Dronny Darko, al secolo Oleg Puzan, nello spazio interstellare, tra rapimenti alieni e viaggiatori solitari tra le galassie.
Il tutto avviene al suono di un dark ambient minimale che, mai questa volta, risulta essere così poco suggestivo.
Vi spiego questa mia affermazione con una serie di paradossi. Se si volesse rappresentare il vuoto dal punto di vista musicale, probabilmente, anzi sicuramente, la cosa migliore sarebbe non emettere alcun suono. Epperò se sei un musicista ambient, e vuoi pubblicare un disco a tema, allora il problema te lo devi porre. Il problema si risolve creando delle suggestioni che vadano ad integrare la trama del rumore di fondo che crei come tappeto proprio per ricreare quel vuoto che, in tesi, dovrebbe essere popolato di creature aliene.
Le suggestioni, attraverso il suono, sono materia difficile, perché presuppongono l’arte ci creare empatia con l’ascoltatore. Qui l’empatia arriva solo alla terza traccia, “Specimens”, che in parte rende l’idea del concept di fondo del disco, ovvero di un tizio che si risveglia in un laboratorio alieno, riesce a fuggire dallo stesso, arrampicandosi su tubi dove scorre una sostanza ripugnante, prima di uscire a vedere la luce di un paesaggio alieno sotto il cui cielo brillano non uno ma bensì addirittura tre soli.
Se nella prima parte manca quella sensazione del freddo e del buio di un laboratorio alieno, nella seconda parte manca quell’enfasi sullo stupore di trovarsi su un pianeta alieno.
Solo nella conclusiva “Noumenon” si intravede un po’ di luce in fondo al buio.
Stavolta non ci siamo Dronny e non capisco perché tu non ti sia mai cimentato uno sci-fi album su Chernobyl, visto che sei ucraino.