Quando nella frenetica stagflazione della scena musicale contemporanea si palesano gruppi come i
Mythology vengo colto da un misto di curiosità e sospetto: di loro si sa che sono svizzeri e poco altro, e nell’era della tirannia dell’informazione e del presenzialismo, la mancanza di tali elementi finisce per accendere l’attenzione, sperando, però, che non si tratti di un ingenuo stratagemma attuato proprio per distinguersi dalla massa, senza poi possedere le doti artistiche necessarie all’impresa.
La sapiente e competente egida discografica della
Black Widow Records funge da importante rassicurazione e anche il
concept dell’album, ispirato a un romanzo breve di
Italo Calvino, contribuisce a fugare i dubbi di “superficialità”, del tutto cancellati dall’ascolto di “
The castle of crossed destinies”, un’opera percorsa da continui cambi di clima, tra oscurità, decadenza, dramma, elegia e leggenda, in un misto di
doom,
jazz,
folk medieval-esco,
prog e
gothic di notevole suggestione.
Una sorta di “free rock” incombente, liquido e mistico, in cui si stagliano le voci teatrali ed evocative di
Athos Sade e
Lady Sif e dove le strutture armoniche appaiono frementi e magnetiche, alternando raffiche d’organo, squarci di
sax e fiotti di chitarre fosche e appassionate, operanti su un sostrato ritmico pulsante e variegato.
Volendo trovare riferimenti utili a indirizzare l’astante si potrebbero citare Atomic Rooster, Van Der Graaf Generator, Soft Machine e magari pure The Velvet Underground, ma il tutto appare ben lontano da una sterile operazione di
copia & incolla, non inconsueta in questi nostri tempi diffusamente retrospettivi.
Qui è l’intensità e la vivacità della fiamma dell’ispirazione a scongiurare ogni rischio manieristico e sebbene l’enfasi espressiva finisca talvolta per lambire i limiti dell’eccesso e dell’autoindulgenza, non si può nascondere la “potenza” di quarantacinque minuti di musica straniante e “primitiva” nel suo fluire libero e incondizionato.
Questa mancanza di un perfetto equilibrio narrativo, che personalmente accolgo tra i pregi dell’esposizione sonora, può apparire al tempo stesso come un piccolo difetto, e, in effetti, a ben osservare, non sempre l’approccio dei misteriosi elvetici mantiene la tensione emotiva sugli stessi attanaglianti livelli, evidenziando qualche minimo “calo di concentrazione”.
L’intrinseca irrequietezza artistica del gruppo, tuttavia, spesso davvero “impressionante”, appare una qualità rara da incentivare e sostenere, consigliando a tutti gli estimatori dell’arte dai contorni irregolari un pronto contatto con i
Mythology, una formazione il cui spiccato istinto creativo è certamente meritevole di grande considerazione.
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