I connazionali
Wish esordiscono oggi, ma esistono dal 1992. La formazione romano-perugina ha dalla sua un’immagine convincente e professionale - a cominciare dalla splendida cover del full-length in esame, dall’altrettanto bellissimo logo e dal curatissimo booklet - che non sempre però si riflette nelle scelte liriche e, soprattutto, musicali.
“Stay Here My Friends” è un concept album sull’amicizia “come
fil rouge tra passato e futuro”, a detta della band ispirato al prog moderno di Steven Wilson e Tool ma alle mie orecchie molto più vicino al sound classico delle band dei Seventies per la performance non sempre chirurgica, per le timbriche - in particolare le tastiere “ultra-nostalgiche” di
Salvatore Patti - e per la produzione (volutamente?) lo-fi di
Umberto Ugoberti.
Non fraintendetemi,
“Stay Here My Friends” è un lavoro godibile realizzato con passione, forse solo un po’ troppo derivativo - a cominciare dall’introduttiva
“Like A Yes”, piccolo “Bignami” di prog strumentale a cavallo tra Jethro Tull, PFM e Gentle Giant - e ancorato al passato. Infatti, se
“Deep Wish” rievoca la spigolosità chitarristica del Re Cremisi e le aperture melodiche dei Genesis,
“Dancing With Myself” strizza l’occhio ai Pink Floyd.
“Scrambled Eggs” vince il premio di brano più duro (passatemi il termine) del lotto, prima di
“Church” - un po’ Wakeman e un po’ Colosseum - che sfocia nella titletrack, probabilmente l’episodio dell’album che si avvicina maggiormente al concetto di “moderno”.
Senza dubbio una band destinata a crescere.
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