Copertina 6,5

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2019
Durata:43 min.
Etichetta:SPV

Tracklist

  1. 111 - THE NUMBER OF THE ANGELS
  2. SPIRIT OF DAEDALUS
  3. M.E.T.A.L.
  4. ACE OF THE UNICORN
  5. SAIL AWAY
  6. FLY WITH US
  7. ONE STEP INTO WONDERLAND
  8. DAYS OF GLORY
  9. WHEEL OF TIME
  10. RONIN
  11. SOLE SURVIVOR

Line up

  • Chris Bay: vocals, guitars, keyboards
  • Lars Rettkowitz: guitars
  • Francesco Ferraro: bass
  • Tim Breideband: drums

Voto medio utenti

Dopo tre anni dal buonissimo "Master of Light", caratterizzato da una copertina indecente ma anche da 10 brani su 12 veramente azzeccati, ecco che torna col suo sorrisone a 64 denti - ma anche con qualche ruga in più - l'immarcescibile Chris Bay, accompagnato come al solito dal fido scudiero Lars Rettkowitz ma non più dall'altro fondatore Ilker Ersin, già fuori qualche anno fa ed oggi sostituito dal nostro Francesco Ferraro dei Vexillum al basso più Tim Breideband alla batteria, insomma come spesso accade nei Freedom Call si avvicendano tantissimi musicisti, anche illustri come nei casi di Dan Zimmermann, Sascha Gerstner o Klaus Sperling ma quello che è certo è che la formula dei nostri eroi non cambierà mai, innalzando per sempre il vessillo di quel gay sugar happy power metal che la band tedesca porta avanti fieramente ormai da ben 20 anni, da quello "Stairway to Fairyland" che aprì la strada a questo power metal ultra zuccheroso che viene accusato dai detrattori di assomigliare un po' troppo a canzoni dei cartoni animati un po' metallizzate ed energizzate ma con cori e ritornelli sin troppo melodici ed accessibili.

"M.E.T.A.L." non fa un passo indietro e se possibile spinge ancora maggiormente sull'acceleratore, andando mentalmente a chiudere il cerchio con il citato disco d'esordio ed il successivo "Crystal Empire", specie con il brano "Days of Glory" che rappresenta una sorta di autocelebrazione per la band di Norimberga.

Sin dall'iniziale "111 - The Number of the Angels", scelta anche come apripista, i Freedom Call senza indugio si rifugiano nei clicheès che adorano e che funzionano un po' come l'usato sicuro; purtroppo talvolta il tutto sa molto di già sentito, sia all'interno della loro discografia, sia ahimè con qualche passaggio che ci farà scattare immancabilmente nella testa la domanda "ehi, ma questa dove l'ho già sentita?", passando da cataloghi metal come "Cheyenne Spirit" degli Edenbridge a materiale disco anni '80 tipo "Enola Gay" degli OMD come in occasione di "Ace of the Unicorn" e mille altri rimandi a stralci di Gamma Ray, Edguy e chissà quanti altri ne abbiamo saltati... ma la cosa importante è che la musica dei Freedom Call convinca, ci faccia saltare, entusiasmare e sorridere.

Al netto di qualche brano meno riuscito ma praticamente mai skippabile (tipo "Spirit of Daedalus"), "M.E.T.A.L." è in ogni caso un disco riuscito ma che non riesce a reggere il passo del predecessore o di "Beyond", sebbene non manchino gli inni da portarsi rigorosamente in ambientazione live, sia quelli più luminosi e gloriosi come la splendida "Fly with Us" (sì, abusata anche lei specie nel chorus) sia quelli più cadenzati e ritmati come "Sail Away"; con "One Step into Wonderland" si scende nel becero pomp-rock anni '80 e lo dico con benevolenza, essendo un brano che immagino nei titoli di coda di ogni film americano che ha segnato la mia adolescenza e di conseguenza la mia vita, mentre va da se' che la title track sia un inno all'heavy metal ed un tributo alla nostra musica preferita:

Standing tall for Heavy Metal
For all Eternity
As warriors forever more
United we are Freedom Call


queste parole risuoneranno scandite a gran voce dal pubblico dei Freedom Call ai loro concerti ma bisogna ammettere che il brano in se' e per se' non sia letteralmente irresistibile, così come sul finale si poteva fare meglio con la conclusiva medievaleggiante "Sole Survivor", mentre risultano azzeccate "Wheel of Time" e "Ronin".

Insomma, un disco che presenta qualche carenza qua e la' e che non riesce a stare al passo degli ultimi ottimi lavori dei Freedom Call ma che garantisce quello che promette e che è comunque superiore ai dischi "deboli" (per fare un compliment) della loro discografia, ovvero gli orridi "The Circle of Life" e "Dimensions", usciti a metà anni 2000 e per fortuna mai più replicati.

Prima dell'ascolto del disco ci chiedevamo se la sindrome METAL, nome non fortunato per un disco, avrebbe nuociuto ai Freedom Call così come accaduto nel 2007 per gli Annihilator, con uno dei dischi più indecenti che abbia mai avuto modo di sentire... Per fortuna, pericolo scampato!

Recensione a cura di Gianluca 'Graz' Grazioli

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