Copertina 8

Info

Anno di uscita:2006
Durata:58 min.
Etichetta:Lucifer Rising
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. GIVE'EM HELL
  2. VENUS' GLIPH
  3. DER GOLEM
  4. SHOCK TREATMENT
  5. ABSINTHE
  6. ANOTHER LIFE
  7. PSYCHOSECT
  8. HECK OF A DAY
  9. S.I.A.G.F.O.M.
  10. THE HEALER
  11. TIME TO KILL
  12. THE 7TH SEAL

Line up

  • Steve Sylvester: vocals
  • Oleg Smirnoff: keyboards
  • Emil Bandera: guitars
  • Glenn Strange: bass
  • Dave Simeone: drums

Voto medio utenti

Progredire senza rinnegare le radici, andare avanti tenendo conto delle proprie migliori attitudini "tradizionali", è una cosa riuscita davvero a poche formazioni, non solo nostrane, e per poter essere vittoriosi in tale ardua impresa sono assolutamente necessari due elementi distintivi fondamentali: la personalità e il carisma.

Peculiarità che non possono non essere attribuite ai Death SS e credo che anche i loro detrattori più irriducibili non abbiano difficoltà a riconoscere tali virtù a quella che per molto tempo e forse ancora oggi può essere considerata una delle band maggiormente di "culto" dell'intero panorama heavy italico.

Steve Sylvester e i suoi non hanno nessuna "paura" di "crescere" e sorprendere ancora una volta (del resto tra alti e qualche basso, l'hanno sempre fatto, nella loro ormai consistente carriera artistica) e se a queste rare capacità aggiungete anche una veramente straordinaria abilità nel rendere le proprie composizioni estremamente affascinanti, con un flavour spesso "malvagiamente" malioso e lontano dalle tante "macchiette" che affollano la scena, otterrete le fondamenta sulle quali i nostri hanno edificato quest'eccellente "The 7th seal", che riduce in parte la spinta esplicitamente "modernista" del precedente "Humanomalies" e che mi sembra addirittura voler recuperare certe atmosfere del sound dark doom anni '70 (facenti in ogni caso parte del codice genetico del gruppo, al quale va inoltre riconosciuta una sorta di funzione "didattica" attuata nei confronti delle leve più giovani, nella riscoperta, grazie ad apprezzabili cover versions, di un caliginoso cosmo musicale, magari non così conosciuto), catapultandole "di peso" ai giorni nostri e colorandole con un appeal "commerciale" al quale è spesso impossibile opporre la benché minima resistenza.

Accade, quindi, che accanto a buoni brani dall'imponente forza d'urto e carica anthemica intitolati "Give 'em hell" (brano scelto come inno ufficiale della ICW, la federazione italiana di Wrestling, uno sport-show che ha intrigato il nostro Steve a tal punto dal coinvolgerlo, a quanto sembra, in prima persona, nelle vesti di manager e sponsor di alcune delle più quotate stars del settore) e "Shock treatment", all'impatto serrato di "Der Golem" (dal refrain catalizzante) e alla discreta "Time to kill", si possa trovare l'arrangiamento elettronico spigoloso e al tempo stesso raffinato di "Venus' gliph", un brano dotato di una linea melodica che potremmo definire, volendone esasperare un po' i contorni, quanto di più "vicino" al goth-pop sia mai stato prodotto dai Death SS, e tutto senza che il risultato possa essere minimamente criticabile dal punto di vista dell'effetto "sensoriale" complessivo.

Rock, metal, elettronica ed empietà s'intrecciano in "Absinthe", ma è con la trance emotiva della pianistica "Another life", una sorta di tormentata ballata densa di pathos, che "The 7th seal" piazza uno dei suoi colpi migliori, nel cui elenco troviamo anche la successiva "Psychosect", introdotta dal canto di un fanciullo e da un riff capace di creare ad hoc un elevato livello d'inquietudine, per poi esplodere in un clima abbastanza "consueto" per le caratteristiche del gruppo (certe atmosfere di "Panic" non sono troppo distanti), ma assolutamente appassionante e trascinante, così come l'entusiasmo è l'unico sentimento che si può esprimere durante l'ascolto di "Heck of a day" e la sua aura doom-esque che odora anche di dark-prog-rock di settantiana memoria, nonostante la voce filtrata di Sylvester ci ricordi che la "nostalgia" fine a sé sessa non possa trovare spazio in quest'esibizione.

Gli highlights continuano con il plumbeo tessuto sonoro di "S.I.A.G.F.O.M.", che si schiude ad un'apertura armonica vaporosa (bello anche il solo del sempre ottimo Emil Bandera), a creare una situazione solo apparentemente serafica e alla fine magneticamente "sinistra", come del resto ci si può facilmente aspettare da un titolo di questo tipo, acronimo di "Satan Is A Good Friend Of Mine".

"The healer" è una traccia semplicemente splendida, caratterizzata da percussioni di sottofondo su cui s'innestano le chitarre, le preziose tastiere di Smirnoff e le vocals simil-sussurrate di un magistrale Sylvester, a comporre un delizioso quadretto dal conturbante tocco gotico.

Un piccolo discorso a parte lo merita poi la fenomenale title-track, un concentrato d'umori cangianti, capaci di evocare un caleidoscopio di sensazioni, tra enfatiche e solenni coralità e strappi di sulfurea NWOBHM, il tutto pilotato da un'incredibile verve espressiva, illuminata dal flauto e dal sax fantasmagorico dell'assolutamente geniale Clive Jones, ospite del disco e per il quale non credo sia necessaria la citazione di referenze.

"The 7th seal" farà nuovamente discutere e probabilmente dividerà audience e (forse anche) critica, ma è inevitabilmente il destino di questa band da sempre così controversa, coraggiosa nelle scelte e così tanto amata, almeno quanto, d'altro canto, detestata (e perché no, invidiata). Per quanto mi riguarda questo lavoro mi è "entrato nel sangue" in modo subdolo ma prepotente e al momento in cui scrivo non c'è stato nessun altro disco di nuova pubblicazione capace di fungere da efficace antidoto alla sua infezione, se poi alla sua qualità specifica sommiamo il fatto che esso sarà altresì licenziato in versione su doppio vinile (con l'aggiunta di un paio di bonus) e in edizione limitata su Cd con una particolare confezione sigillata con ceralacca, si può agevolmente comprendere che oltre al suo feeling peculiare, la band conserva intatto anche il suo caratteristico gusto estetico (rilevabile comunque anche dalla versione "normale" del platter) e l'attenzione per i dettagli, conquistando globalmente il mio plauso incondizionato.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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