Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2018
Durata:61 min.
Etichetta:Century Media Records

Tracklist

  1. THE LIVING FORTRESS
  2. THE RUBY
  3. FURTHER DOWN
  4. ZEAL
  5. SCATTERPREY
  6. SOLITUDE PITH
  7. DYSPHORIA
  8. SPIRE
  9. WITHDRAWAL

Line up

  • Olli-Pekka Laine: bass
  • Marko Tarvonen: drums
  • Janne Perttilä: guitars
  • Sami Yli-Sirniö: guitars
  • Antti Myllynen: keyboards
  • Jón Aldará: vocals

Voto medio utenti

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Fermi tutti!
Non avete sbagliato sito e siete finiti per sbaglio in un blog di critica d'arte, anche (e soprattutto) perchè chi scrive di arte capisce meno di niente.
Ma da sempre, quando ascolto e provo a comprendere un nuovo lavoro dei Barren Earth, non posso fare a meno di pensare a questa famosissima litografia di Maurits Cornelis Escher del 1953 intitolata “Relatività”.
E questo nuovo "A Complex of Cages", licenziato ancora da Century Media Records a tre anni dal predecessore "On Lonely Towers" (qui l'ottima recensione del nostro Frank), se possibile offre ancora più piani di lettura dei precedenti.

Come d'abitudine di ogni lavoro di Olli-Pekka Laine e soci nulla è solamente ciò che appare ad un primo ascolto, tutto muta rapidamente all'interno di ogni singola canzone e di ogni singolo movimento all'interno della canzone stessa, rendendo necessari molti passaggi affinchè i diversi piani di lettura risultino chiari.
"A Complex of Cages" spinge ancora più in là i limiti che la band stessa aveva fissato, trovando nuove alchimie tra la sempre più presente parte progressive e la solida base death che innerva tutto il disco.

Il set di 9 brani che lo compongono esplorano una così vasta gamma di sonorità da renderne davvero complessa l'analisi; passiamo dal prog più spinto di "The Living Fortress" in cui gli echi Opeth-iani si avvertono chiaramente, al death melodico di "Further down" attraversando le ariose tessiture à la Pink Floyd di "Zeal".
E con questi brevi cenni si sfiora appena la superficie di un mare vastissimo che raccoglie suoni settantiani, interludi orientaleggianti e aggressioni furiose tipiche del profondo nord dal quale i nostri provengono; la lunga suite "Solitude Pith" sorprende per esempio un volta di più con un'intro dal richiamo spaziale sviluppandosi poi su ritmi dilatati progressive doom (passatemi l'orrido neologismo).

Questa evoluzione è permessa anche dalla stabilità nella lineup, rimasta invariata con la sola eccezione del tastierista Antti Myllynen al posto di Kasper Mårtenson, che permette ai Barren Earth di proseguire senza cedimenti verso il loro obiettivo: creare una musica universale, che comprenda il più ampio spettro di sonorità possibili.
Quello che auguro loro -e contestualmente perciò anche a noi che ne godiamo- è di non smettere mai di mettere cuore ed anima nella loro musica perchè senza di queste due componenti essenziali diverrebbe solo un mero esercizio di stile.

Barren Earth - "Further Down"

Recensione a cura di Alessandro Zaina

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