C’è un discorso ampio da fare relativamente a questo
“Vox Populi”, esordio dei giovanissimi bolognesi
Minraud.
Premetto dicendo che questo concept incentrato sulla graphic novel
“V Per Vendetta” non mi ha entusiasmato dal punto di vista musicale (un po’ troppi rimandi al “teatro del sogno”) ma mi ha decisamente convinto su tutti gli altri fronti: testi ben scritti (che la formazione ha intelligentemente allegato al press kit), quasi da “rock opera”, una capacità di sintesi encomiabile (anche se in alcuni punti sfocia nella "boutade" fine a sé stessa), un'immagine lontana dai canoni prog tradizionali (guardate la foto della band per credere), un artwork moderno, volutamente ispirato alla street-art e non alle grafiche immaginifiche tipiche del genere (che hanno pure un po’ stufato).
Le composizioni sono sfaccettate, non sempre fluide, e talvolta (come anticipato in apertura) un po’ troppo derivative. La breve e riuscita
“Anonymous” inizia soffusa, con gli strumenti che si sovrappongono uno alla volta mentre sentiamo in sottofondo un dialogo tratto dal film di
James McTeigue. L’hard-prog di
“MsJustice”, con le tastiere in evidenza, non può non ricordare certe trame dei sopraccitati Dream Theater o certo solismo degli Shadow Gallery, ma “scivola” su un discutibile acuto finale del buon
Alessandro Rubino (con un timbro a tratti vicino all’indimenticato
André Matos).
“Theorevision” aggiunge una componente melodrammatica di scuola Savatage alla formula di album come
“Systematic Chaos” e
“Black Clouds And Silver Linings”, e anticipa
“Burning Dolls”, un vero e proprio tributo al quintetto di New York dove i nostri citano
“A Nightmare To Remember” (galeotto fu il pianoforte filtrato),
“Home” (galeotto fu il sitar e il drumming di
Panepinto), e
“A Change Of Seasons” (galeotti furono i campanellini del break). E mi fermo qui.
“Scarlet Sleepy” brilla per l’ottimo arrangiamento e per le timbriche inaspettate, ma è meno riuscita la linea vocale.
“Carnal Cross” ha qualcosa del prog horrorifico italiano e aggiunge degli elementi thrash e swing nel finale senza svilupparli a dovere. La ballad acustica
“The Salt Flats” ha un paio di gustosi twist ritmici/melodici (a metà e in coda) che la salvano dall’anonimato e prelude all’epica
“Domino Effect”, dove scorgiamo sonorità nu e crossover, tanti (troppi) unisoni, atmosfere circensi, e chi più ne ha più ne metta, la conclusione non riuscitissima di un album ambizioso che ha tutti i limiti del “primo album” (difficile da digerire la coda "frettolosa" con i suoi cantati poco ispirati).
Come ho già avuto modo di dire
“chi ascolta prog, di solito è un rompiscatole”, e io ascolto prog. Sentiremo ancora parlare dei
Minraud? Ne sono certo.
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