Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2016
Durata:33 min.
Etichetta:Dark Essence Records

Tracklist

  1. I FORTIDA SITT LYS
  2. SOM I EIT ENDELIKT
  3. DU
  4. KOMFORTABELT NOMMEN MIDTVEKES
  5. WOLF
  6. THE REANIMATOR
  7. INN I UVISSA
  8. TENN DEN GAMLE VARDE

Line up

  • Stig Ese: guitars, vocals
  • Havard Ese: bass
  • Sven Roger: guitar
  • Anders Christian: drums

Voto medio utenti

La Norvegia, a dispetto di dimensioni e posizione geografica, è ormai da parecchio tempo una delle nazioni “nodali” per le vicende della musica rock, in grado di fornire importanti individualità artistiche un po’ in tutti i generi, a partire ovviamente dall’egemonico black-metal, ma senza dimenticare stoner, hard-rock e alternative.
Slegest è il nome del progetto dell’ex chitarrista dei Vreid Ese e il suo intento di mescolare la “naturale” estrazione black con sonorità doom e hard m’incuriosiva parecchio, tanto da riservare un ascolto attento al primo lavoro del “gruppo” (in realtà una sorta di one-man band) risultato, ahimè, alquanto deludente (impressione, tra l’altro, suffragata dall’autorevole opinione del collega Caforio che trovate su queste stesse colonne).
Volendo concedere una seconda chance a un’idea comunque potenzialmente intrigante, diciamo che il secondo “Vidsyn” si dimostra meno “scolastico” del precedente “Løyndom”, riuscendo a plasmare la materia sonica in maniera obliqua e abbastanza interessante, all’interno di un prodotto, però, non ancora pienamente soddisfacente o, in qualche modo, “innovativo”.
Il cantato algido, brutale e morboso si scontra con strutture armoniche “figlie” di Black Sabbath, Blue Oyster Cult, Witchfinder General e AC/DC e sebbene il “giochino” funzioni piuttosto bene al primo impatto, purtroppo finisce ben presto per perdere di efficacia, riciclandosi eccessivamente, privo dei necessari guizzi espressivi.
Ecco, dunque, che brani come “I fortida sitt lys” e “Som i eit endelikt” (con Grutle Kjellson degli Enslaved in veste di ospite) trasmettono considerevoli dosi di conturbante inquietudine miscelate a groove imponenti, allo stesso modo in cui piace l’atmosfera sinistramente bucolica di “Du”, mentre solo gradevoli appaiono le digressioni di hard-psych di “Komfortabelt nommen midtvekes” e gli influssi britannico / australiani concessi a "Wolf”, per una formula espositiva che progressivamente mostra la corda in maniera sempre più evidente, risollevandosi parzialmente solo grazie al senso di “oscuro malessere” che impregna “Tenn den gamle varde”.
Un work in progress che continua destare al tempo stesso perplessità e curiosità … da rivedere.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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