Copertina 7

Info

Genere:Black Metal
Anno di uscita:2005
Durata:43 min.
Etichetta:Ledo Takas

Tracklist

  1. PASKUTINE AKIMIRKA
  2. DEVYNIARAGIS
  3. IŠ KARTOS I KARTA
  4. PERGALE
  5. GRIAUSMAVALDYS
  6. AUDRONAŠA
  7. BURTAI
  8. PIRMYN!
  9. SUMINTI JUODI TAKAI

Line up

  • Baalberith: vocals
  • Sadlave: guitars
  • Enrikas Slavinskis: guitars
  • Demonas: bass
  • Insmuth: drums

Voto medio utenti

"Iš kartos I Karta" è il terzo full lenght dei lituani Obtest, ma nonostante siano una band attiva da diverso tempo (i loro primi demotapes risalgono addirittura al 1994), sino ad ora non avevo mai ascoltato nulla di loro, e se per un attimo ho sperato di poter replicare il "colpaccio" dei Turisas, l'ascolto dell'album mi ha fatto immediatamente ricredere.
Non fraintendete, "Iš kartos I Karta " è un discreto lavoro, ma la musica manca di quell'impatto epico e battagliero tipico dei Turisas, e nelle nove canzoni sono molto più evidenti le matrici Black Metal.
"Paskutine Akimirka" è un'opener incalzante, con una batteria che martella (magari un po' ripetitiva) e riffs semplici ma d'impatto, con un cantato marziale e cattivo il giusto. E' subito evidente come gli Obtest abbiano preferito concentrarsi sui propri strumenti evitando l'inserimento di strumenti tradizionali o di massicce dosi di tastiera, come ormai ci hanno abituato diversi altri gruppi, ed anche la produzione è grezza, ma non per questo caotica. A favore di queste scelte troviamo quindi canzoni compatte e mai troppo catchy, d'altra parte però qualche brano (ad esempio "Devyniaragis" o "Pergale") si ritorce troppo su se stesso e manca così dello spunto vincente.
Sono invece le chitarre che si rincorrono a caratterizzare la titletrack, uno dei pezzi migliori del CD, mentre "Pergale" è sin troppo asfittica e non riesce a differenziarsi da quanto ascoltato sinora. Per fortuna una lanciatissima e cattiva "Griausmavaldys" e la galoppante "Burtai" recuperano ampiamente la situazione, con nuovamente in spolvero le chitarre ed in grado di aprirsi maggiormente a qualche influenza folk. Tocca invece al Pagan Black Metal d'altri tempi con la feroce "Audronaša", mentre "Pirmyn" e la conclusiva "Suminti Juodi Takai" (e qui nel finale spunta pure un breve chorus) hanno un taglio un po' diverso, con melodie che ricordano i vecchi Mithotyn, ma con un cantato che qui si avvicina più al Death che al Black Metal, con liriche caratterizzate dalla scelta di usare il loro linguaggio natio e testi ispirati da avvenimenti storici e mitologici.
Non tanto immediati e facilmente fruibili, ma convincenti quanto basta.
Recensione a cura di Sergio 'Ermo' Rapetti

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