Che i Goblin nei loro momenti migliori rappresentino un caposaldo del
prog-rock (
grand guignol-esco) internazionale è un fatto assodato almeno quanto le loro oggettive difficoltà di “convivenza” all’interno di un gruppo che negli anni ha assunto innumerevoli diverse incarnazioni, mescolando schieramenti e denominazioni, sotto la spinta d’interpreti evidentemente caratterizzati da personalità forti e inquiete.
Una storia iniziata con un capolavoro assoluto, nato dal sodalizio con un cineasta visionario (“
Profondo rosso” e
Dario Argento,
ça va sans dire …), che dimostra al mondo come una colonna sonora possa esaltare un grande
film e allo stesso tempo vivere di “vita propria” anche laddove privata delle immagini (merito anche del
jazzista Giorgio Gaslini).
Un esordio che probabilmente è anche l’apice artistico della
band (e del regista romano …), costretta da lì in avanti a confrontarsi con un monumento d’inquietudine in note, incapace di ripercorrerne le gesta (con “
Suspiria” che si avvicina molto all’impresa …) pur producendo lavori anche piuttosto interessanti, tra gli alti e i bassi creativi dei loro umorali artefici.
Con un rapido
fast-forward, in cui scorrono i
monicker The New Goblin, The Goblin Keys, Back to the Goblin e Claudio Simonetti's Goblin (senza dimenticare i Daemonia …) si arriva così ai
Goblin Rebirth, formati dagli storici
Fabio Pignatelli e
Agostino Marangolo, accompagnati da
Giacomo Anselmi,
Aidan Zammit e
Danilo Cherni.
Una “rinascita” che prende avvio dal passato del “Diavoletto” e che ripercorre attraverso questa registrazione dal vivo (di un’esibizione tenutosi al
Crossroads di Roma nell’aprile del 2011) alcuni dei momenti salienti del gruppo, sommandoli poi a brillanti esecuzioni di brani meno noti, prelevati da una discografia piuttosto imponente.
“
Buio omega”, “
Connexion”, “
Magic thriller” e “
Le cascate di Viridiana”, rappresentano l’occasione di approfondire doverosamente vicende musicali un po’ lontane dai riflettori, ma è altresì opportuno sottolineare la sensibilità con cui musicisti esperti, competenti e fantasiosi affrontano le stesure più celebri, elaborandole quel tanto (o quel poco, se preferite …) che basta ad allontanare la sgradevole sensazione dell’ennesimo sfruttamento di un repertorio “garantito”.
L’assalto ai sensi “
Mad puppet” (qui in una versione vagamente Pink Floyd-
iana!), il
funky-jazz demoniaco ”
Death dies”, “
Tenebre”, la rabbrividente “
Suspiria” (un pezzo che per anni non sono riuscito ad ascoltare “serenamente” … ), la stessa trascrizione della celeberrima “
Profondo rosso”, piacciono per l’assenza di manierismo e ci consegnano una
band disinvolta e determinata, la quale, benché sia ovviamente accreditata per confrontarsi con il “mito”, è consapevole che assecondare i desideri del pubblico attraverso una scelta del genere non è mai un’iniziativa del tutto esente da rischi.
Al di là di ogni altra considerazione, non rimane che godere pure delle riproposizioni di “
Aquaman”, “
Roller” e “
Goblin” (da un albo che personalmente, a differenza di alcuni
progofili, reputo avvincente …), arrivando a citare, infine, l’ottima “
Killer on the train”, tratta dalla
soundtrack di “
Non ho sonno”, in cui dopo molto tempo la leggendaria formazione di “
Profondo rosso” era tornata assieme per impegnarsi in una pregevole (e,
ahimè, fugace) collaborazione.
Il disco, come spesso accade per le produzioni firmate dalla
Black Widow Records, esce in diversi formati ed è molto curato nella resa sonora e nella realizzazione estetica … una ragione in più per considerare l’acquisto di un’opera forse non esattamente fondamentale e tuttavia di certo non priva di valore.
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