Copertina 5

Info

Genere:Black Metal
Anno di uscita:2014
Durata:52 min.
Etichetta:Candlelight Records

Tracklist

  1. THE ASSASSINATION
  2. FACING THE FACELESS
  3. THE PROMISE OF NEVER
  4. DEATH, DESOLATION AND DESPAIR
  5. THE DEMON KING
  6. ARCHITECT OF DESTRUCTION
  7. TRAIL OF DEVASTATION
  8. SHATTERED EQUILIBRIUM
  9. EVEN GODS DO FALL
  10. THE END PARADOX

Line up

  • Sahil "The Demonstealer" Makhija: vocals
  • Daniel Rego: guitar
  • Husain Bandukwala: bass
  • Virendra "Viru" Kaith: drums
  • Jetesh "Mephisto" Menon: keyboards

Voto medio utenti

Confesso di non essermi mai avventurato, prima di questa recensione, nell'ascolto di questi Demonic Ressurrection e, altrettanto sinceramente, posso suggerirvi di tirare dritto.
Il nome lo avevo già sentito, poi mi è venuto in mente che questi indiani erano apparsi sul documentario Global Metal (2007 diretto da Scot McFadyen) a testimonianza di come il nostro genere si stia espandendo per il globo. Molto interessante, vi consiglio di recuperarlo.
Tornando a noi, recuperando informazioni vado a scoprire che The Demon King è addirittura il quarto full lenght della band, fondata nel 2000, e venerata dai metallers del luogo come le vacche sacre. Rispetto assoluto per la fede nel metallo ma, dovendo giudicare la musica, devo dire che non ci siamo proprio.
52 minuti che mescolano senza cognizione di causa Dimmu Borgir, Rhapsody, Dark Tranquillity, Vintersorg, Sonata Artica e Limbonic Art. Non nel corso del disco, in ogni pezzo. Hanno addirittura il coraggio di definirsi "progressive" ma, per come la vedo io, siamo lontani anni luce. Le canzoni non si evolvono, sono semplicemente dei copia-incolla di diversi take o porzioni di canzone messi insieme con lo scotch. Brani che ad un certo punto sembrano terminati ed invece continuano con le sole keys o in accoppiata con chitarre acustiche. I pezzi hanno sempre le tastiere in primo piano, con un suono abbastanza scarno ma che non si capisce se vogliano enfatizzare alcuni passaggi o se siano la guida dei brani, mentre le chitarre passano con disinvoltura da un riffing black ad assoli e melodie tipicamente power. Ogni cosa è un cliché e in molti punti la sensazione è quella "già sentito". Se tutto questo comincia a confondervi, aggiungo ulteriori perplessità dicendovi che il cantato si divide tra scream, growl e voce pulita, ben eseguiti, ma con una alternanza assolutamente casuale. Tutto è suonato bene, ma senza una minima direzione. Fosse il primo o il secondo disco, questi problemi sarebbero più lievi e si potrebbe sempre sperare in un futuro miglioramento, al quarto album diventa però difficile farsi illusioni. Inutile andare oltre.
Recensione a cura di Francesco Frank Gozzi

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