1991. Un buon momento per la scena
metal sabauda.
Lo spazio lasciato vacante dai Creepin’ Death (un
outfit che oltre per l’intrinseco valore artistico, va ricordato per aver capito prima di altri l’importanza della promozione e del
marketing …), dissolti da insanabili crisi interne (che daranno origine alla favolosa
hard-rock meteor Dogma, per quanto mi riguarda uno dei tanti “rimpianti” del panorama tricolore …), viene occupato da Braindamage, Headcrasher (torinesi solo d’adozione, in realtà …) e dai
Broken Glazz, tutti sostenuti dalla professionalità e dalla competenza della Dracma Records, etichetta impegnata con profitto nella valorizzazione dei molteplici talenti musicali del
Belpaese, incurante di esterofilia e preconcetti.
Un “Italian assault” (denominazione, tra l’altro, del
festival itinerante che l’anno successivo vedrà proprio i tre succitati gruppi come protagonisti …) di notevole rilievo e carisma, con i ragazzi del Canavese che, sospinti da un deflagrante
demo, conquistano immediatamente i favori di pubblico e critica grazie ad un albo, “Divine”, capace di assorbire influenze “classiche” ed intingerle nel
techno-thrash di Death Angel, Testament, Megadeth e Anthrax, realizzando un prodotto altamente competitivo, anche e soprattutto per la classe e la personalità con la quale viene affrontata l’impresa.
Ottima tecnica e una cura dei dettagli abbastanza rara per un esordiente completano il quadro espressivo di una formazione piuttosto sorprendente, artefice di un suono potente e aggressivo, ma anche versatile e ricco di fascinosi spunti melodici, in cui si muovono agevolmente la volitiva vocalità di James Wynne, le chitarre epilettiche e ispirate di Ivan Appino e la mutevole sezione ritmica di Andry Verga e Pier Querio, specialisti nel difficile campo del cambio di tempo preciso e
illuminato.
“Faces on the floor”, la
title-track, “Mindless transparency”, “Promised time” e finanche la più sincopata “Fun house” (con qualcosa dei primi Mordred), rappresentano modelli significativi dell’approccio alla materia dei Broken Glazz e di come il quartetto sapesse ibridare le atmosfere della
Bay Area attraverso il filtro di una sensibilità …
ehm … da
Tirapere (questa mi sa che la capiranno in pochi …), mentre chi ama le melodie intense e passionali non potrà proprio rimanere impassibile di fronte a “Someday”, un gioiellino di enorme impatto emozionale.
Con il successivo “Withdraw from reality” la band arricchirà ulteriormente lo spettro delle sue influenze, acquisendo maggiore maturità e accrescendo le già fondate “speranze” di un’affermazione su vasta scala, che invece, per tante ragioni, non ci sarà, consegnando (dopo la pubblicazione del mini “Solitude”) i Broken Glazz alla “storia” e alla memoria di chi ne aveva ammirato le gesta e avrebbe gradito molto poter assistere ai passi successivi della loro evoluzione.
Fast Forward …2013. Un buon periodo per il
metal italiano,
tutto sommato.
La “globalizzazione”, la tecnologia e una maggiore preparazione complessiva, hanno reso l’
hard n’ heavy una faccenda priva di “esclusive geografiche” e anche l’antica
Italietta ha raggiunto una certa credibilità internazionale, grazie a musicisti e addetti ai lavori completamente all’altezza dei loro colleghi più accreditati.
Quello che manca, in generale, è forse una maggiore
attenzione degli ascoltatori, tempestati inesorabilmente da milioni di sollecitazioni e sempre più confusi e superficiali nel tentare di “tenere il passo” di un mercato discografico in piena stagflazione, che (fortunatamente) ha riscoperto il “passato” e (purtroppo) finisce per trattarlo con la stessa approssimazione con cui gestisce le continue “new sensation”.
In tale contesto operano ancora, però, realtà “indipendenti” alimentate da passione e cultura, le stesse che inducono una di queste a sostenere “veterani” ricchi di entusiasmo e d’inventiva (Mesmerize, …) e giovani
eruditi (Ultra-Violence, …), senza per questo trascurare “vecchi” gruppi degni di considerazione e non troppo fortunati.
La ristampa di “Divine” della Punishment 18 Records (che nel 2011 ha riservato lo stesso trattamento anche al secondo
full-length della
band …) dimostra quanto sia tuttora attuale (complici anche i “ricorsi storici” tipici del
rock …) il
sound dei Broken Glazz e quanto siano ancora coinvolgenti e adrenalinici i brani di una scaletta oggi addizionata dal contenuto integrale di quel rivelatore nastro dimostrativo datato 1990 (quando ancora si chiamavano Broken Glass …), da cui emergono in particolare la suggestiva struttura articolata (sebbene un po’ acerba) di “Rights of your pride”, l’ottima fattura di “Total despair” e una versione primordiale di “Some day”.
Non rimane, dunque, specialmente qualora non facesse parte della vostra collezione, che accaparrarsi immediatamente una copia di questo dischetto, goderne dalla prima all’ultima nota e poi magari chiedersi quanti altri
veri talenti “dimenticati” (o quasi) avrebbero meritato una sorte ben diversa da quella riservata loro dalle circostanze e dal
fato.