Copertina 8

Info

Anno di uscita:2012
Durata:47 min.
Etichetta:Rise Above

Tracklist

  1. COCOON
  2. THE BLACK CHORD
  3. QUAKE MEAT
  4. DRIFT
  5. BULL TORPIS
  6. BAREFOOT IN THE HEAD

Line up

  • Richard Vaughan: vocals, guitar, keyboards
  • Conor Riley: vocals, keyboards
  • Brian Ellis: lead guitar
  • Stuart Sclater: bass
  • David Hurley: drums, flute

Voto medio utenti

“Musica senza tempo per menti senza tempo”. Ma soprattutto una delle più creative ed illuminate formazioni psycho-prog rock della scena internazionale, insieme a Big Elf, Litmus, Ancestors e pochi altri.
Americani, di San Diego, gli Astra sono emersi dal nulla tre anni fa con “The weirding”, una caleidoscopica alchimia di trip spaziali, stratificazioni progressive anni ’70, melodie suadenti e vigoria metropolitana. Pur con una registrazione non ottimale ed inevitabili ridondanze da esordio, un disco che li ha immediatamente portati all’attenzione di tutti gli appassionati delle sonorità “new-old”. Bene hanno fatto i cinque freak statunitensi a prendere le cose con calma, in modo da replicare ora con un lavoro di levatura ancora superiore ed assolutamente affascinante.
Il fatto più evidente è che le radici musicali di questo gruppo non affondano nel loro continente, bensì nella Gran Bretagna e, sorprendentemente, nell’Italia dell’epoca rock-progressiva settantiana. Infatti è lo stesso Vaughan, mente del progetto, a confessare in un’intervista la propria autentica devozione al movimento tricolore, dal quale emersero nomi come PFM, Banco, Orme, Area, Balletto di Bronzo, e tanti altri, capaci talvolta di esprimere idee perfino superiori a quelle dei maestri albionici. Volendo trovare tracce italiche nello stile del quintetto, è possibile segnalare il maggior contributo delle tastiere, che avvolgono le canzoni in un corposo mix di toni vintage e moderni senza scivolare nei barocchismi classicheggianti di un prog-rock non sempre brillante come questo.
L’apertura in crescendo dello strumentale “Cocoon” è quanto di più floydiano ci sia in circolazione ai nostri giorni, ed anche esteticamente il richiamo alla Barrett-era è palese, poi inoltrandosi nelle trame maestose ma coerenti, non dispersive, dell’album, si percepiscono le influenze della scuola british di King Crimson, Genesis, Van der Graaf, ecc, seppur amalgamate in una visione del tutto personale e convincente.
La lunghissima title-track è magistrale, dove i delicati intrecci vocali e le orbite chitarristiche di Ellis si fondono con l’incessante flusso di note prodotte da Mellotron, Moog, Minimoog, Hammond, una cascata sonora alla quale abbeverarsi incessantemente. La produzione è nettamente migliorata, così gli arrangiamenti, ed i brani hanno rinunciato alle derive dal sapore jammistico per un profilo sempre ricco e fluente ma meglio focalizzato. L’elegiaca dolcezza elettroacustica di “Drift”, abbellita da inserti di pianoforte e da una lead “Hackett-iana”, risulta un chiaro esempio di come anche la composizione dei pezzi sia cresciuta e manchi davvero poco alla maturazione completa e definitiva di questa magnifica formazione.
Altro momento topico nella conclusiva “Barefoot in the head”, per l’abilità nel condensare atmosfere soffuse, incantevoli melodie oniriche e psichedelia cosmica, che verrebbe voglia di prolungare ben oltre i suoi già abbondanti nove minuti.
Se gli Astra vi erano piaciuti al debutto, adesso vi conquisteranno definitivamente. “The black chord” li pone ai vertici di quella scena trasversale e dai confini irregolari che viene definita “neo-prog”, da non confondere con il prog-metal. Auguriamoci che i musicisti di San Diego non arrestino il loro processo di crescita, perché sono in grado di regalarci altre opere di questo spessore.

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