Copertina 8,5

Info

Anno di uscita:2004
Durata:59 min.
Etichetta:Roadrunner
Distribuzione:Universal

Tracklist

  1. SLAVE LABOR
  2. CYBERWASTE
  3. ACT OF GOD
  4. DRONES
  5. ARCHETYPE
  6. CORPORATE CLONING
  7. BITE THE HAND THAT BLEEDS YOU
  8. UNDERCURRENT
  9. DEFAULT JUDGEMENT
  10. BONESCRAPER
  11. HUMAN SHIELD
  12. ASCENSION
  13. SCHOOL

Line up

  • Burton C. Bell: vocals
  • Christian Olde Wolbers: guitars
  • Byron Stroud: bass
  • Raymond Herrera: drums

Voto medio utenti

Per chi scrive i Fear Factory hanno rappresentato e tuttora rappresentano un punto d'arrivo, ho amato qualsiasi nota, analogica, digitale o remixata, che la band ha suonato sin da quando è apparsa sulle scene. Faccio questa premessa perchè il nuovo disco "Archetype" mi ha indotto in profonde riflessioni che, data la loro vastità, sarà un pò difficile riportare per intero qui, e che richiederanno il massimo dell’obiettività. Iniziamo col dire che l'abbandono di Dino Cazares, stando a quanto ascoltato su questo disco, non ha pesato per nulla, e questo è uno dei primi punti controversi. Dino era additato dagli altri componenti della band come colui che imponeva alla band stessa le sue scelte sempre e comunque. E cosa ti fa la band? Andato via Dino, si mette a fare quello che Dino avrebbe fatto. Tradotto in soldoni, "Archetype" è il classico disco dei Fear Factory, anzi è una sorta di greatest hits, il quale pesca a piene mani dal passato della band e non sposta di una sola virgola l'evoluzione della band. Evoluzione che poteva dare, e in parte aveva già dato, i suoi frutti da "Digimortal" compreso in poi. Su "Archetype" sarà facile trovare riferimenti tanto ad "Obsolete" quanto a "Soul Of A New Machine", tanto a "Digimortal" quanto a "Demanufacture". Da questo punto di vista possiamo tranquillamente dire che questo è il disco più vario mai partorito dalla band, laddove tanto la brutalità, e cito "Cyberwaste", quanto la melodia, e cito la title-track, sono presenti in dosi massicce, nella classica alternanza strofa violenta/ritornello melodico sottolineata da un Burton C. Bell, che fa il suo sporco lavoro come sempre. Il concept è come sempre intessuto su tematiche post-apocalittiche e cyber-futuristiche, un trademark della band che magari concettualmente mostra un po’ i segni del tempo, ma ancora molto affascinante ed attuale. Il livello generale delle canzoni è alto, così come la prestazione della band, con il solito Raymond Herrera sugli scudi. Il mio compito di recensore sarebbe già abbondantemente assolto con quanto detto finora, ma resta il compito più difficile, ovvero dare un giudizio finale ad un lavoro che comunque farà parlare di se. Il problema è giudicare questo disco tenendo presente quanto fatto dalla band in passato, o giudicare quello che, allo stato attuale, è e quello che non è? Mi spiego meglio. Se questo disco fosse uscito tanti anni fa, al posto di “Demanufacture”, oggi sarebbe citato come uno dei capisaldi del genere, perché in quel momento nessuno suonava, e poteva suonare, come i Fear Factory. Ma nel 2004 “Archetype” non fa, e non può fare, quell’effetto. Indi se questo è il parametro di giudizio, codesto disco rientra nella categoria “buono ma nulla più”. Se invece vogliamo giudicare nuda e cruda la prova della band, non possiamo tacere la gioia per aver ritrovato una band che sembrava smarrita e che dimostra su questo disco di spaccare ancora il culo, perché nel caso non lo aveste ancora capito “Archetype” spacca il culo, e di brutto. Tuttavia va rimarcato che la band si autocita e questo potrebbe essere un punto a sfavore. Allora dove sta la verità? Vi sarete resi conto delle seghe mentali poc’anzi elucubrate, quand’è così in genere la verità sta in mezzo. La verità è che tra tanti ritorni pseudo-evolutivi, tipo i “St. Anger” della situazione, i Fear Factory sono tornati per fare quello che sanno fare meglio, ovvero per farci male, per farci sanguinare i padiglioni auricolari. Potevamo chiedere di meglio? Penso di no, almeno che non siate di quegli intellettualoidi che, per far parlare di se, speculano sulla pelle di band con tanto di palle così, come i Fear Factory appunto, e poi incensano i gruppettini punk da quattro soldi, perché loro ne sanno. Mai come in questo caso la musica viene prima di tutto, viene prima dei se e dei ma e, purtroppo, con i se e con i ma non si fa la storia, e la storia di questo genere è stata in buona parte scritta dai Fear Factory. E se è vero che i Fear Factory non inventano nulla di nuovo, ma si limitano a fare quello che sanno fare (ed è quanto di meglio ci sia in giro), non vedo chi altro in giro faccia qualcosa di nuovo, almeno che domani non mi inventano il cyber-tarantella-metal. In quel caso poi ne riparliamo. Al momento touchè ai Fear Factory, punto.
Recensione a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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