Copertina 7

Info

Anno di uscita:2012
Durata:49 min.
Etichetta:Frontiers Records
Distribuzione:Frontiers Records

Tracklist

  1. GIVE A LITTLE MORE
  2. DAMAGE CONTROL
  3. LOOK INSIDE YOUR HEART
  4. IF I NEVER LET HER GO
  5. DIE A LITTLE
  6. TEARS THAT I CRY
  7. BONAFIDE
  8. KRAZY WORLD
  9. HOW TO LOVE AGAIN
  10. AFTERWORLD
  11. NEVERENDING WAR

Line up

  • Jeff Scott Soto: vocals, guitars, bass, keyboards
  • Gary Schutt, Jorge Salan, Diego Armelin, Rodrigo Armelin, Emo Markov, Dave Meniketti, Peter Pac Söderström, Alex Llorens, Joel Hoekstra, Roger Benet, Leo Mancini: guitars
  • Fernando Mainer, Nalley Påhlsson, Henrique Baboom: bass
  • Fabio Ribiero, Ulf Wahlberg, BJ: keyboards
  • Edu Cominato, Carlos Exposito, Casey Grillo, Mike Vanderhule, Jamie Borger, Joey Soto: drums

Voto medio utenti

Jeff Scott Soto è irrefutabilmente una delle grandi voci del rock internazionale.
Per lui “parla” un impressionante percorso professionale, che dagli esordi alle dipendenze di Malmsteen (a proposito … mi ha sempre fatto sorridere l’idea che un cantante di origine portoricana intonasse fieramente “I am a viking” …) si è arricchito di un’autentica girandola di prestazioni in formazioni più o meno “solide” e d’innumerevoli collaborazioni, condotte, da un certo punto in avanti, in parallelo con una carriera solista anch’essa piuttosto ricca di soddisfazioni.
Il “problema”, se così vogliamo definirlo, è che una consacrazione completa, degna della sua inestimabile laringe, non è mai realmente arrivata, probabilmente perché non c’è mai stata una situazione artistica veramente dominante e autorevole che potesse dare massimo risalto alle sue qualità.
A tale traguardo il nostro si è avvicinato parecchie volte, con i Talisman, magari con i Soul SirkUS e con i W.E.T. (per i quali ci sono ancora “speranze”!), ma è innegabile che i Journey hanno rappresentato la grande “occasione persa”, con gli incontrastati AOR masters americani che hanno preferito un singer molto capace e al contempo decisamente più “gestibile” a livello di “carisma”…
Jeff comunque continua imperterrito a fare la sua “cosa”, solcando con inappuntabile dovizia hard, FM-rock, blues, soul e funky (genere che pilotava, assieme ad un approccio pop, il precedente “Beautiful mess”) e pure il nuovo “Damage control” si attesta tranquillamente nella fascia medio-alta dell’apprezzamento uditivo, grazie alla sua solita irreprensibile performance tecnica e interpretativa e all’opera insigne di una serie di coadiutori altrettanto preparati e rinomati (Joel Hoekstra dei Night Ranger, Dave Meniketti degli Y&T, Casey Grillo dei Kamelot, Jamie Borger e Nalley Påhlsson dei Treat …).
L’impressione che con uno “strumento” vocale del genere si potrebbe “fare di più” rimane intatta anche in questo caso, in cui, ancora una volta, un songwriting piuttosto buono eppure non “eccezionale” non riesce a equivalere pienamente le capacità specialistiche, che finiscono per incidere in maniera (eccessivamente) determinante sul giudizio finale.
Il programma è complessivamente gradevole e riserva i suoi picchi di consenso nella grinta affabile della title-track, nella spigliatezza del singolo ”Look inside your heart”, nelle vaporose melodie di “Die a little”, “Tears that I cry” e “How to love again”, mentre chi ama una preponderante risolutezza hard-rock potrà trarre validi benefici da "Afterworld” e chi, viceversa, si vanta di possedere un animo maggiormente sensibile potrà affidarsi a “BonaFide” e "Neverending war”, ricavandone un discreto ristoro.
Anche grazie a “Damage Control” Jeff Scott Soto continuerà ad incarnare il ruolo di vocalist extraoirdinaire e il suo nome seguiterà ad essere uno dei primi a venire in mente tanto per una collaborazione di “pregio & prestigio” quanto nelle estenuanti sessioni di selezione per le playlist di specialità … le arene e le grandi platee possono probabilmente ancora attendere, e se quest’aspetto può non essere del tutto deleterio (ricordo con piacere un suo coinvolgente e “familiare” live show, in un minuscolo rock club delle mie zone …), la possibilità di realizzazione di un solo album davvero “decisivo”, beh, quella forse comincia ad essere leggermente utopica.
Essere smentiti, nello specifico, diventa una circostanza altamente auspicabile, così come “consolarsi” con un disco “solamente” molto godibile come questo non è comunque di certo da inserire tra quelle forme di conforto oltremodo artificiose e visibilmente palliative.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 23 mar 2012 alle 18:12

Purtroppo gli è mancata la fortuna e bravura di scrivere o interpretare un album "vincente" nel momento in cui l'Hard Rock riempiva gli stadi e le tv (per intenderci tra il 1985 e il 1990)...malgrado la bravura resterà per il "grande pubblico" uno "sconosciuto"...

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