Copertina 5

Info

Anno di uscita:2012
Durata:46 min.
Etichetta:Century Media

Tracklist

  1. WE ARE THE MANY
  2. THE BOGEYMAN
  3. MEMORIAL
  4. NO TOMORROW
  5. EDGE OF BLACK
  6. DAVY JONES
  7. DEADLY DREAM
  8. OPEN LETTER
  9. DEIN R3.ICH
  10. BROADCAST TO DAMNATION
  11. THIS OATH
  12. MODERN WARFARE

Line up

  • Andy Dörner: vocals
  • Marc Görtz: guitars
  • Denis Schmidt: guitars
  • Marco Schaller: bass
  • Patrick Grün: drums

Voto medio utenti

Il metalcore è musica costruita, artefatta, non spontanea, senza cuore. Sono questi i pensieri che fluivano nella mia mente mentre ascoltava l’ottava fatica sulla lunga distanza dei tedeschi Caliban.
Premetto, a scanso di equivoci, che nutro forti pregiudizi verso l’universo metalcore, almeno nei confronti di ciò che oggi si usa definire metalcore e che, sempre a scanso di equivoci, è perfettamente incarnato dai Caliban.
Nello sforzo di unire pattern violenti e ritmiche quadrate, afferenti al thrash metal, e melodia, spesso le bands finiscono per risultare artefatte, perdendo di vista le due componenti e non riuscendo a valarizzarne nessuna, nel tentativo, ossessivo oserei dire, di far convivere insieme forzatamente due anime così lontane. Sovente non c’è amalgama e si finisce per dar vita a un ibrido con un nuovo codice genetico sterile.
Non volendo, nel dare una panoramica generale di ciò che penso del metalcore, ho recensito il presente “I Am Nemesis”, il quale, a dispetto delle parole della band, che giura di aver appesantito ancora di più il suono donandogli un groove tecnico in pieno Meshuggah style, nulla aggiunge a quanto fatto in passato dalla band, compreso il precedente “Say Hello To Tragedy”.
Siamo di fronte al solito assalto sonoro, iperprodotto, pianificato in ogni singola nota, con voce in perenne overdrive, ritmiche che sembrano fatte di cemento e che del cemento hanno la stessa artificiosità, sovente interrotto da intermezzi melodici assolutamente forzati e forzosi.
Spararsi circa 45 minuti di questa musica è veramente arduo, anche perché ben presto irrompe la noia e l’incapacità della band di variare i propri schemi, di essere “spontanea”, la rende tremendamente pallosa.
Secondo la mia modesta opinione i Caliban invece di sedersi a tavolino per decidere la struttura della canzone, dovrebbe riunirsi in sala prove e cominciare a suonare con spontaneità.
La musica estrema è tale se lascia spazio all’urgenza della rabbia e non cerca di comprimerla in strutture artefatte. La riprova sta nel fatto che la band, quando decide di isolare le proprie due anime, tira fuori pezzi di assoluto spessore, e parlo della terremotante “Deadly Dream” e della emozionale “This Oath”.
È chiaro che la band sia tecnicamente valida e che dal vivo, asciugando il suono, senza le sovrastrutture da studio di registrazione, possa regalare un discreto massacro sonoro, ma il giudizio su questo disco è assolutamente deficitario. Solo per i fan duri e puri della band, gli altri dopo un ascolto non si ricorderanno nemmeno più perché l’avevano comprato.
Recensione a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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