Copertina 7,5

Info

Past
Genere:Avantgarde
Anno di uscita:2003
Durata:47 min.
Etichetta:Earache
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. THE PASSAGE
  2. THE UNPOETIC CIRCLE
  3. LABYRINTHINE
  4. PRAHA
  5. THE PICTURE
  6. RUINS
  7. IRONICAL COMMUNION
  8. MY GLASSY SHELTER
  9. THE OTHER'S TOUCH

Line up

  • Davide Tiso: guitars
  • Davide Piovesan: drums
  • Fabio Fecchio: bass
  • Lucio Lorusso: vocals
  • Davide Tolomei: vocals

Voto medio utenti

Ci sono i limiti. E c'è chi cerca di oltrepassarli. Così si può raccontare la seconda 'release' degli Ephel Duath, formazione tutta italiana ma domiciliata in Inghilterra in casa Earache. "The Painter's Palette" rappresenta la sintesi di un complesso lavoro di ricerca iniziato dal leader, Davide Tiso, e dai musicisti coaugulati intorno a questo progetto. Proprio nella ricchezza del background di chi il disco l'ha suonato, oltre che nell'ottica 'eretica' in cui le canzoni sono state create, risiede la forza e l'unicità di un lavoro che segna una personale via di fuga da qualsiasi idea di musica estrema. Questo il tema centrale: stravolgere la natura black originaria aggiungendo al nero una gamma cromatica fatta di jazz, rock, progressive, hardcore per originare un colore nuovo, la tinta Ephel Duath.
Un'idea forse non nuova, ma raramente la realizzazione di un tale progetto aveva portato ad un risultato così trascinante. Ecco, forse sta proprio qui la loro vittoria, nelle canzoni, complesse, cerebrali al primo impatto e poi via via sempre più penetranti ascolto dopo ascolto. Nell'opener "The Passage" è subito chiaro l'intento: riff violenti, una traccia ritmica frenetica e multiforme, il basso che segue sentieri quasi personali ed il cantato ottimizzato dalle doppie vocals, affidate da un lato a Lucio Lorusso, degno dei migliori At The Gates, e dall'altro a Davide Tolomei, canto pulito, rock. In "The Unpoetic Circle" la musica sembra ripercorrere quanto di più sublime concepito in ambito estremo, i Death di "Individual Thought Patterns". Da "Labyrinthine", sezione ritmica destabilizzante e grandi vocals, si passa all'esercizio strumentale di "Praha" una specie di jam progressive, che va sfumando in un eco lontano di un valzer di Strauss, fino al 'mental black', passatemi la definizione, di "The Picture" e "Ruins", brani invero difficili da districare. Quando tutti i colori sembrano essere stati utilizzati, giunge l'apertura di "Ironical Communion", una tromba che prelude al sussulto delle chitarre per immergere la mente in nuovi passaggi, con un break inquieto dove prima voce e percussioni, poi basso e chitarra si rincorrono per dare nuovo spazio al dolce suono degli ottoni. Ancora due esecuzioni dal ritmo vertiginoso, "My Glassy Shelter" e "The Other's Touch", fino a che la tavolozza ha esaurito la sua gamma di colori; quello che rimane è un quadro non da guardare ma da penetrare, sviscerare. Un episodio irripetibile o un 'nuovo canone'? Onestamente difficile dirlo, per ora quello che rimane è una grande opera.
Recensione a cura di Emanuele Rossi

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 16 giu 2012 alle 15:08

Per carità...

Inserito il 16 giu 2012 alle 11:29

che disco.

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